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Capitolo 2 (non officiale)

Le fiamme bruciano, mi divorano le ossa.

Sento grida attorno a me, cadaveri e sangue sparsi sul pavimento di quell'inferno soffocante.

Mi guardo attorno e riconosco i cadaveri con orrore.

Haldara Braccionero, la capovillaggio di Derrikan, con la sua famosa ascia bipenne infilata nel cranio.

Felisha, mia sorella, accoccolata come dormiente accanto al cadavere del suo famiglio, Filish.

Vizla, mia madre, con del ferro fuso infilato in gola ed il suo scudo di scaglie di drago con l'emblema della Semprechiara inciso sopra spezzato accanto a lei.

Zubeya, la mia amica draga caduta in battaglia, con le scaglie pristine coperte del suo sangue azzurro.

Tutte le persone che amavo, morte davanti ai miei occhi.

Sto per mettermi a piangere, a gridare, a strapparmi i capelli, quando una voce dietro di me mi fa voltare.

Il mio cuore salta un battito mentre stringo le Carte di Mortengau a me: Aareg, la mia ragazza, è in piedi di fronte a me, il petto squarciato e la voce poco più alta di un sussurro quando mi parla: "Perché non mi hai salvata...?"

Io faccio per lanciarmi verso di lei, abbracciarla, amarla con tutto il mio cuore, ma le catene sono strette, sempre più strette, soffocanti.

E poi, con mio immenso orrore, il corpo di Aareg si scioglie davanti ai miei occhi, per poi riformarsi nella forma di quei demoni che avrei voluto dimenticare con tutto il mio cuore: Abuflyn Heroshan ed Evorax.

Guardandomi negli occhi, Evorax ruggisce: "La mia mercenaria preferita! L'Ombra è tornata per me!"

Abuflyn invece si avvicina a me e, afferrandomi per il colletto dell'Umbra e facendomi cadere le Carte di Mortengau, mi sussurra: "Ricordatelo, Ombra... - la sua mano passa sotto il mantello per accarezzare la mia cicatrice, ben coperta dalla mia uniforme e dall'Umbra stessa. - ... ₮Ʉ ₳₱₱₳Ɽ₮łɆ₦ł ₳ ₥Ɇ..."

Io grido quando Abuflyn mi infila le sue unghie affilate nel fianco, la cicatrice che brucia e gela allo stesso tempo, mentre Evorax raccoglie le carte e le lancia nel fuoco...

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Mi sveglio con un grido.

Mi guardo attorno e per un attimo sono di nuovo a casa mia. Accanto a me c'è Aareg, pronta per farmi ridere con uno dei suoi soliti scherzi.

Ma poi l'attimo finisce e capisco dove sono davvero. Sono sdraiata sul letto di un'infermeria o di un ospedale, in mutande e maglietta, mentre delle ragazzine con l'emblema della Semprechiara sulla veste mi girano attorno. Io mi alzo di scatto, sentendo un dolore lancinante al fianco dove ho la cicatrice.

Guardo immediatamente e vedo che c'è solo un grosso livido. Eppure ero sicura che Abuflyn mi avesse perforato il fianco...

Una delle ragazze vede che sono sveglia e, con un sorriso tipico delle sacerdotesse della Semprechiara, mi rivolge delle parole che probabilmente, in sua opinione, potrebbero essere vagamente consolanti: "Signorina Alea! Ben svegliata, come state?"

Io sollevo un sopracciglio. Alea? Oh, beh, almeno non dovrò inventarmi un nome. Con un tono che spero sia calmo, rispondo: "Sto bene, grazie. Dove mi trovo, esattamente?"

La ragazza mi sorride e poi indica in un angolo, dove Nemo Lovelace è seduto, mentre mi risponde: "Il vostro amico vi ha trovata delirante e con dei brutti lividi nella cattedrale della Via dei Pipistrelli e vi ha portata alla Casa della Semprechiara per curarvi."

Io sospiro sia di sollievo che di auto-commiserazione. Sollievo perché le immagini orribili che ho visto non erano vere, auto-commiserazione perché ero soccombuta di nuovo agli incubi.

Con un sorriso congedo la ragazza e mi alzo, assolutamente non preoccupata delle mie ferite. Mi guardo attorno e vedo i miei abiti appesi ad un attaccapanni.

Subito li afferrò e li metto addosso, sentendo la mia tuta nera adattarsi al mio corpo come una seconda pelle. Poi mi metto Umbra sulle spalle e, con un sospiro, allaccio il fermaglio di legno intagliato che tiene Umbra chiusa.

In seguito mi dirigo verso Nemo, che non sembra minimamente turbato. Mi guarda da seduto su una sedia di legno e, prima che potessi dirgli qualsiasi cosa, tira fuori una lettera dalla borsa e mi dice: "Hai ricevuto una lettera mentre eri fuori gioco."

Guardo il foglio che mi sta porgendo ed il mio cuore fa almeno cinque o sei capriole: è una lettera di Aareg, la mia ragazza. E poi noto con orrore che la lettera è già stata aperta.

Io strappo di mano la lettera a Nemo e, con grande indignazione, sputo fuori le parole come veleno: "L' hai letta! Come ti permetti?! Ti dovrei uccidere solo per averla sciupata tenendola in mano!"

Nemo sospira e, con un' aria noncurante che mi fa venire voglia di castrarlo, mi fa: "Ero curioso. E poteva contenere qualcosa di interessante."

Le mie orecchie a punta diventano rosse di rabbia e di imbarazzo mentre esco dalla stanza, facendo in modo di pestare i piedi a Nemo e di sbattere la porta.

Mi appoggio al muro del corridoio ed apro la lettera, leggendo le righe scritte dalla mano che un tempo reggeva la mia:

"Mia cara Kivma,
Qui a casa va tutto bene, ma tua sorella è molto preoccupata per te. Mi raccomando, ricordati di non farti male e di stare lontana dai casini.
Baci,
Aareg."

Io sospiro, stringendo la lettera al mio petto. Quanto mi manca! Ma devo ancora finire la mia missione...

Mi do una spinta e mi alzo dal muro, mettendo la lettera nella tasca dell' Umbra, poi mi dirigo di nuovo verso Nemo.

Ci vorrà ancora un po' prima che possa tornare a casa.

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