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Capitolo 8 - Appartenenza

Il sole splendeva alto in cielo come ogni giorno, i suoi raggi flebili penetravano tra le doghe di legno della mia persiana socchiusa, per la prima volta dopo tempo mi sentii a casa. I miei occhi inizialmente tanto contrari ad aprirsi si lasciarono convincere dal tepore familiare che mi avvolse. Rimasi diversi minuti a contemplare con fervore l'abitacolo che mi ospitava, la mia stanza. Era tutto come lo ricordavo, la novità stava solo in un vaso di girasoli poggiato sul mobiletto bianco che Deimos aveva portato in mia assenza che conferivano alla stanza un tocco in più di colore ed il loro profumo intenso aveva affollato l'aria della stanza. Mi aspettava una giornata lunga, la giornata delle verità. Speravo che Deimos mantenesse la parola data e mi mostrasse tutto ciò che aveva raccolto negli ultimi cinquant'anni alle mie spalle. Ero soddisfatta di essere final- mente messa al corrente, potevo finalmente aggiungere un trofeo alla mia piccola collezione di vittorie personali e allo stesso modo sentivo una grande angoscia pervadermi, non mi piaceva brancolare ne buio perché il buio non era parte di me. Deimos a differenza mia si nascondeva spesso dietro la complessa e diplomatica immagine di se stesso, che aveva ideato e raffinato in quel secolo e mezzo di vita, il che mi faceva aver paura di esser tratta in inganno nuovamente infondo io ero sempre stata schietta e sincera, prevedibile. Ero chi ero veramente, un fiume in piena come mi aveva definito lui stesso. Spesso avevo la sensazione di non conoscerlo davvero, mi mostrava prima un lato del suo volto, poi un altro ed un altro ancora, piano piano ricomponeva i pezzi ma mai aveva ricostruito interamente la facciata principale per far sì che il ciclo avesse motivo di iniziare da capo. Mi ricordava la luna crescente, avvolta per metà dalle ombre mentre l'altra metà splendeva chiara e quieta, elegante nel cielo. Invidiavo il suo autocontrollo perché io non ne avevo alcuno, d'altro canto pensavo che lui per primo fosse geloso e tormentato da me: io potevo essere come volevo, lui doveva mantenere canoni ben precisi all' interno della prigione di cristallo ideata dai nostri antenati, che chiamavamo più comunemente casa. La gente, i rappresentanti delle tante città di Lys, i cittadini, e pesino io ci aspettavamo qualcosa da lui, sempre. Di continuo mi chiedevo se mi ritenesse instabile o pericolosa quanto una mina vagante, cercava di capirmi ed io provavo a fare lo stesso dal canto mio ma per un motivo o per un altro sembravamo due viaggiatori che viaggiavano verso la stessa meta ma perennemente su strade diverse. Spesso era doloroso come la nostra incapacità di intenderci distrug- gesse il nostro amore, anche se fino a quel momento ero io quella più smarrita. Ero cresciuta con l'idea fissa di essere nata per proteggerlo, per farlo accomodare tra le mie braccia e consolarlo quando ne avesse avuto più bisogno ma con mia grande delusione avevo scoperto che il tutto non era elementare e semplice come lo avevo immaginato. Capii che era ora di alzarmi quando Jan iniziò a bussare sempre con più insistenza alla mia porta invogliandomi ad alzarmi, quel frastuono mi riempii le orecchie facendomi sentire ulteriormente stordita. Contro voglia lasciai il mio letto caldo ed accogliente e dirigendomi in bagno mi lavai e mi vestii indolente. Quando ebbi finito Jan era ancora ad attendermi fuori dalla porta, mi porse un bigliettino di carta bianca piegato a cui rivolsi una rapida occhiata: «Ti aspetto nel mio studio». Avrei saputo riconoscere quella calligrafia ovunque, l'avevo vista arricchirsi ogni anno sin da quando ne avevo cinque fino a trasformarsi nell' elegante e raffinata grafia con cui Deimos scriveva oggi. Ringraziai Jan per la sua pazienza, in risposta mi rivolse uno sfavillante sorriso ed allegro mi disse:

«Hai forse dimenticato che è per questo che sono pagato? E poi poteva andarmi molto peggio, non vorrei mai finire nelle grinfie del governatore, severo ed ingessato come Mr. Jonson.» risi anche io lasciandolo intento a sistemare il mio letto disordinato, non aveva tutti i torti, poteva andargli molto peggio. Percorsi i corridoi che conoscevo perfettamente a passo spedito, quando finalmente arrivai aprii la porta e trovai Deimos seduto alla sua scrivania, come consuetudine era sepolto da una marea di scartoffie. Quando si accorse che ero lì un piccolo sorrisino affiorò sulle sue labbra.

«Buongiorno!» mi disse caloroso.
«Buongiorno!» sorridendo presi posto sulla sedia di fronte a lui.
«Dormito bene?»
Annuii fissando fuori dalla finestra pensierosa. Idian era ancora al palazzo ma aveva cercato di mantenere un profilo basso dell'accaduto del giorno prima. Avevo trovato il suo comportamento strano e bizzarro, con quale dignità aveva deciso di accettare la proposta di Deimos? Niente più li legava ormai. Trovai che quella mattina quest'ultimo stesse molto meglio di tutti i giorni precedenti, era più sereno e tranquillo e lo si percepiva dal suo tono di voce calmo e dall'espressione rilassata sul suo volto perfetto. Probabil- mente venire allo scoperto e smettere di mentire avevano beneficiato alla nostra complicata relazione, quel giorno si stava liberando da un grande peso, l'ammasso di bugie che aveva cumulato in cinquant'anni. Tutto sommato non sapevo quante altre cose mi stava nascondendo oltre quelle che mi avrebbe rivelato ma considerai l'opzione di concedergli il beneficio del dubbio. Si alzò con il suo carat- teristico portamento elegante a passi silenziosi, si fermò al mio fianco e mi ravviò una ciocca di capelli rossi ribelli, mi diede un veloce bacio sulla fronte e si diresse spedito ad una delle librerie che formavano la sua piccola biblioteca personale. Tirò fuori parecchi fogli di grandi dimensioni, li posò sulla scrivania e portò l'ultimo della pila sopra: era un disegno fatto a mano che rappresentava quello che immaginai fosse il nostro pianeta.

«Questo è il nostro mondo.» mi spiegò. «Dai miei viaggi e dalle visioni di Caleb abbiamo potuto ipotizzare che sia costruito così.» indicò il punto più alto. «Esattamente come narra la leggenda qui siamo noi e confiniamo con Siyah come già sai, a sua volta Siyah è separata dal mare da Suarì, l'abisso più profondo al quale nessuno di noi si è mai interessato.»

Non c'era da stupirsi, mi tornò in mente la risatina di quell' orrenda creatura che il giorno prima aveva manipolato le ombre e il fuoco strozzandomi. Mi ricordai tutto così bene che trasalii.

«Possiamo supporre che Suarì come è stato scritto non sia illuminata da alcun tipo di luce naturale.» continuò. «Tuttavia questo non implica che si siano rassegnati.» si portò una mano al mento grattandoselo come se gli prudesse la barba, che in realtà non aveva.

«Quindi potrebbero tentare di riprendere ciò che gli astri gli hanno sottratto.» osservai, era ancora intento a fissarla mappa pensieroso.
«Si, tuttavia non sappiamo come ma ne abbiamo una vaga idea.»

«In questa idea è coinvolta la sciabola?» ero curiosa dal ruolo che quell'arnese avrebbe occupato in tutta la faccenda.
«Un'altra antica leggenda narra che chi fosse riuscito ad ottenere la sciabola, lo spadone del sole e la pietra di Goshenite sarebbe diventato il padrone del mondo. In più la sciabola è l'unica arma esistente che può uccidere un immortale.»

Il solo pensiero che una delle mie luminose armi potesse finire nelle mani di Vukan e del suo imperatore mi strinse il cuore, non l'avrei mai permesso! Il sole era tutto ciò che avevo sempre voluto al mio fianco, e le armi da lui forgiate erano parte di me, mi sentivo persa al solo pensiero di lasciarle andare.

«Cercavano me.» sussurrai interdetta, per la prima volta distolse lo sguardo dai fogli e mi guardò inquieto e nervoso. Confermò il mio sospetto annuendo. «Mi sono sentito uno stupido quando ti ho invocata ma non ho avuto altra scelta. Non avrei mai permesso che ti fosse successo qualcosa, ero pronto ad issare lo scudo e a marchiarli già dal primo momento.»

Il sole e la Luna potevano issare uno scudo combinato invalicabile a quasi tutti i viventi, ciò impiegava una grande quantità di energia e all'inizio non avevamo alcuna idea o certezza al riguardo di come l'ombra avrebbe reagito, non la conoscevamo e questo mi faceva sentire sprovveduta e vulnerabile. Avevamo corso un grosso rischio senza tenere in conto la posta in gioco, senza l'intervento di Lucifer era palese riuscire ad immaginare che fine avremmo fatto contro quell'essere.

«Sono alla ricerca della spada, ma gli servo perché solo io posso riconoscerla e sentirne il richiamo quando è nelle vicinanze.» sfilò bruscamente dalla pila un altro foglio ingiallito dove vi era accuratamente riprodotta l'immagine di una sciabola, la sciabola lunare.

«Ancora una volta con l'aiuto di Caleb siamo riusciti a riprodurre la sciabola lunare fedelmente. Come Lucifer ti avrà già detto si trova in una caverna vicino al mare da qualche parte, non abbiamo idea di dove fosse custodita in precedenza o del perché si trovi lì.» guardava l'immagine sul foglio come se ne fosse irresistibilmente attratto, potevo sentire quanto la bramava e non potevo biasimarlo, stringere le proprie armi era un emozione in equiparabile. La sciabola era molto diversa dalle armi del sole, da come l'avevano descritta riuscii a comprendere che nelle mani sbagliate poteva essere un arma di distruzione di massa, ma ero sicura che quasi nessuno a questo mondo oltre Deimos potesse destreggiarla, ero l'unica dei prescelti che maneggiava le armi del proprio elemento o così ebbi l'idea. «Deimos...» richiamai la sua attenzione. «Dobbiamo testare una cosa.» lui mi guardò interrogativo e diffidente in attesa che aggiungessi qualcos'altro. «Come sai sono l'unica che conosce bene le armi degli astri, poiché per il momento sono l'unica a possederle. Sentendo ciò che avevi da dirmi mi è venuto in mente un dettaglio, le armi ubbidiscono solo al loro padrone. Ora voglio confermarlo, anche se ne sono quasi certa, evocherò il mio spadone e tu tenterai di maneggiarlo così potremo costatare cosa accade se una delle armi degli astri finisse nelle mani sbagliate.»

I suoi occhi lampeggiarono vivi ed eccitati. Mi guardò sbalordito, un barlume di speranza illumino i suoi linea- menti e smorzò la preoccupazione e l'angoscia che erano stati presenti e velati fino a quel momento. Per una volta ero stata io a coglierlo di sorpresa, per una volta ero io la chiave, ero io quella che districava la matassa informe di dubbi e domande che avevamo.

«Non perdiamo tempo!» dissi energica. Chiusi gli occhi e vidi le armi apparire nella mia mente. La invocai con dolcezza vedendola riaffiorare davanti ai miei occhi chiusi, portai la mano verso l'altro e lo spadone dorato comparve fra le mie mani piccole e sudate, era leggero e luminoso. Sfiorai con le dita tutti gli intagli ed il simbolo del sole sul manico, mi costava darlo a qualcun altro ma quel qualcuno era Deimos e io dovevo farlo per il bene di quell'impresa. Gli porsi lo spadone riluttante e sofferente, lui mi fissava ancora estasiato come se avessi appena compiuto la magia più potente e bella del mondo, ci mise un po' a riprendersi. Evidentemente tutte le volte che avevo evocato le mie preziose armi non aveva potuto studiarmi con attenzione poiché erano destinate ad apparire in situazioni di estremo pericolo. Quando finalmente si decise, strappandolo via dalle mie mani, successe qualcosa di invero- simile, lo spadone lo respinse spedendo Deimos fra una delle librerie. Cadde per terra con un tonfo mentre io lo fissavo sbigottita, non sapevo spiegarmi cosa era appena successo. Lo spadone si ritirò ubbidiente nel mio anello e scomparve lasciando un luminoso alone arancione che riempì la stanza per qualche secondo. Deimos rideva, rideva compiaciuto ed isterico, rideva come se non avesse più nulla a cui pensare. Io mi affrettai a raggiungerlo, era ancora seduto con le spalle sulla libreria, presi posto al suo fianco mettendomi in ginocchio. Mi prese il viso fra le mani e con un impeto di passione mi baciò.

«Cosa farei se non ci fossi tu? Mi hai appena liberato in un istante da tutte le angosce di questi ultimi cinquant'anni.» sussurrò dolcemente e rimanemmo a guardarci, seduti sul pavimento freddo. Sarei rimasta lì a specchiarmi nei suoi occhi grigi, chiarissimi, più vivi che mai in quel momento per sempre. Sentii i suoi muscoli tendersi, si mise in piedi, mi tese la mano e mi alzai a malincuore.

«Bene» annunciò. «Ora sappiamo che anche se trovassero la sciabola non potrebbero usarla contro di noi, perché ubbidirebbe solo a me.»
Procedette a passo spedito verso la scrivania, prese una penna dal porta penne argentato che vi era appoggiato sopra e scarabocchiò qualcosa sotto il disegno della sciabola, aveva un'espressione trionfante.

«Deimos, cosa succederebbe se viaggiassimo dove si trova l'arma e la prendessimo?» tornò a guardarmi meravigliato come se avessi detto qualcosa di molto stupido.
«Di preciso non lo so, ma penso che scombussoleremmo tutto l'equilibrio temporale, non sappiamo perché la spada non è stata forgiata nell'anello né perché è stata nascosta proprio in quella caverna. Mr. Albert diceva sempre che non era possibile portare oggetti dal passato nel presente poiché non appartengono a questa epoca.» concluse asciutto.

«Cosa sai dei viaggi nel tempo?» speravo sapesse dirmi qualcosa in più visto che ne aveva affrontati sicuramente più di me.

«Non molto in realtà, o almeno non molto di più di quel che già sai.» disse grattandosi la chioma nera illuminata dal sole alle sue spalle. «I miei viaggi sono stati dettati puramente dal caso come i tuoi, potrei illustrarti nuova- mente tutte le leggi spazio-temporali con il quale Mr. Albert ci ha rovinato l'infanzia ma non credo che apprezzeresti.» lessi una nota di sarcasmo nelle sue parole.
«Ho letto su un libro che Crystal mi ha aiutato a trovare nella biblioteca del palazzo di Lucifer, dice che i nostri viaggi sono dettati dalla necessità di vedere qualcosa e dalla speranza di vedere qualcos'altro. Quindi controllando ciò che ci occorre ed escludendo dai nostri pensieri ciò che bramiamo, forse riusciremmo a fare grandi passi in avanti.» costatai.
«In effetti Mr. Albert ci ha accennato qualcosa del genere, che idea hai? E chi è Crystal?» aveva già capito che qualcosa mi brancolava per la mente ed io non volevo lasciarmi sfuggire l'occasione di procedere nella direzione giusta. 

«Dammi la mano.» gli dissi tendendogli la mia ed ignorando completamente la sua seconda domanda, la afferrò dubbioso. «Ora chiudi gli occhi e concentrati sulla spada e nient'altro.» eseguì i miei ordini in silenzio e capii che quel giorno avevo guadagnato un po' della sua fiducia... finalmente. A dire la verità, mentre ero al suo fianco mi veniva al quanto difficile escluderlo dalla mia mente, ma dovevo farcela, dipinsi nella memoria l'immagine della sciabola e vidi la sua lama a mezza luna lucente materializzarsi nella mia mente come la immaginavo, grande ed elegante. Sentii il buio avvolgerci e poi di nuovo quella luce accecante. Mi strattonò verso di lui avvolgendomi, aprii gli occhi ed eravamo ancora nel suo studio, fortunatamente eravamo piombati al fianco del suo divano cosi decidemmo di usarlo come nascondiglio. La porta si aprì e quattro persone entrarono di soppiatto: riconobbi mia madre, mio padre ed il padre di Deimos con un'altra donna che gli somigliava molto quindi immaginai dovesse essere sua madre.

«Cosa vi è saltato in mente?» gridava il padre di Deimos alle due donne. «Portarli fuori dal palazzo! Voi non immaginate nemmeno che pericolo abbiamo corso!» mia madre e la donna si scambiarono un occhiata fugace, fu proprio lei a parlare.

«Cosa ti fa pensare che qui siano al sicuro?» suonava come una osservazione amara.
«Non mi importa cosa pensate della sicurezza di questo palazzo. Riguardo a te Luminia, Lianne è mia figlia, dovevi informarmi dei tuoi piani subdoli.» si intromise mio padre, gelido.

«Cosa vorresti dire con questo?» rispose lei offesa.
«Sai benissimo cosa voglio dire! Te l'ho affidata pensando che potessi amarla e proteggerla e guarda cosa è successo! L'hai rapita.» Io e Deimos ci scambiammo un occhiata interrogativa, mia madre mi aveva rapita? Sembrava impossibile.
«Non è nemmeno tua figlia!» inveì il padre di Deimos. Mia madre scoppiò in lacrime, si portò le mani sul viso ed immediatamente ebbi voglia di consolarla e piangere con lei, io non ero sua figlia?
«Io...io.» cercò di farfugliare. «Volevo solo proteggerla, lei non è al sicuro qui, dopo che quel mostro ha tentato di entrare nel palazzo io non ci ho più visto.»

Il mio cuore era ridotto a brandelli, un conto era averne il sospetto, un altro era averne la conferma. Avevo sperato fino all'ultimo che mia madre avesse negato ciò che aveva detto quell' uomo con tanta freddezza e decisione, ma non era successo, mi sentii scossa e cercai di trattenere le lacrime.

«Ad ogni modo non fare più un gesto così stupido, ti ho dato fiducia perché so che le vuoi bene come se fosse tua figlia ma lascia la sua protezione a me che sono suo padre.» prese mia madre fra le braccia cercando di consolarla. «Non era lei che cercavano.» continuò il padre di Deimos «O almeno non ancora. Cercano la sciabola.»

Milioni di domande si affollarono nella mia mente, chi era il mostro che era entrato al palazzo? La sciabola si trovava ancora al palazzo? Perché mio padre non mi aveva detto di non essere figlia di Luminia? Mi sentivo impazzire.

«Mi sto occupando personalmente di spostarla.» comunicò la madre di Deimos. «A tempo debito sono sicura che il legittimo proprietario riuscirà a scoprire dov'è con il dovuto aiuto.»

Il buio ci investì nuovamente e poi ancora luce intensa. Ero al centro della stanza nel presente, Deimos mi cullava tra le sue braccia, mentre piangevo disperata. «Mi dispiace» mi sussurrava accarezzandomi i capelli disordinati e ribelli. Trovavo buffo che ciò che avevo creduto per centotrent'anni fosse stata tutta una menzogna, perché non me l'avevano detto? Era questa la verità che mio padre non mi era riuscito a confessare, nemmeno nella sua ultima lettera? Vedevo tutti i ricordi scorrermi davanti, mia madre che mi teneva in braccio, mi stringeva, giocava con me, mi baciava. Sentii un ondata d'odio e rancore assalirmi, era stato così facile per loro! Morire e poi lasciarmi da sola ad incanalare quel mare di informazioni ed energia negativa, erano due codardi! Pensavano forse che non l'avrei più amati una volta scoperta la verità? Mia madre sarebbe rimasta mia madre, con l'unica differenza che era stata qualcun' altra a partorirmi! Niente sarebbe cambiato dal mio punto di vista. Avevo così tante domande che richiedevano una risposta, perché la mia vera madre era morta? Ricordai il suo viso sofferente e triste mentre le lacrime gli rigavano il viso e la vita abbandonava i suoi occhi. Mi sentii invadere da un'amarezza profonda, avrei voluto parlarle, chiederle. Quando ebbi finito le lacrime il sole stava tramontando, incorniciato dalla grande finestra alle nostre spalle, avevo un aspetto orrendo, lo sentivo. Deimos mi lasciò libera dalla sua dolce stretta.

«Devi mangiare.» mormorò premuroso. «Aspettami in camera tua, ti porterò qualcosa lì.»
Feci cenno di sì con la testa, non avevo la forza di parlare ed ubbidiente mi diressi dove mi aveva detto trascinandomi per le scale. La prima cosa che feci fu liberarmi dall'armatura, infilai il pigiama e mi accomodai sul letto.L'occhio mi cadde sulla foto mia e di mia madre ed un altro getto improvviso di dolore mi buttò giù, mi chiedevo solo perché. Decisi così di mettere la cornice nel cassetto e leccarmi le ferite da sola cercando di dimenticare, ero sicura che ci sarebbe voluto molto tempo. Quando Deimos ricomparve sulla porta reggeva un vassoio dorato con due fette di torta e due caffè, mi guardava apprensivo e preoccupato come se fossi pronta ad esplodere. Lo appoggiò sul letto e mi porse il piattino, lo presi e iniziai a mangiare lentamente, lui fece lo stesso senza staccare gli occhi da me mettendomi in soggezione. Mi sentii profondamente rassicurata dalla sua presenza, non avevo bisogno di parole in quel momento, solo del suo calore. Una volta consumato il nostro pasto pieno di zuccheri e calorie, senza fiatare mi misi a letto e lui mi rimboccò dolcemente le coperte, si tolse le scarpe e si stese al mio fianco, abbracciandomi. Il suo profumo dolce riempiva l'aria come i girasoli di quella mattina. Mi accarezzava la testa ed il viso, stringendomi prima piano e poi forte, baciandomi il collo e la nuca, mi chiedevo a cosa stesse pensando. Piano piano la sua dolcezza funzionò da calmante, implorai il sonno di portarmi con sé infinite volte, fin quando con la Luna al mio fianco persi coscienza.

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