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Broken.

Quando finii la chiamata, il telefono scivolò dalle mie mani e cadde a terra, aprendosi in più pezzi.

Sentii le gambe cedere e le ginocchia picchiare dolorosamente sul marmo del pavimento, solo che non vi badai minimamente.

Quel misero dolore alle gambe, era completamente oscurato della vorace che sentivo in mezzo al mio corpo . Era come se qualcuno avesse squarciato il mio petto, senza alcuna anestesia, e avesse lasciato la ferita aperta, dolorosamente aperta.

Avevo gli occhi puntati sulla vetrata trasparente che dava sulla piscina, ma non riuscivo a vedere niente; sentivo i polmoni bruciare, alla ricerca dell'aria che non riuscivo a respirare e gli occhi bruciare, per le lacrime che non riuscivo a versare.

Non mi accorsi della presenza di Harry, di quel ragazzo talmente bello da farti sentire male, dallo sguardo talmente preoccupato da spezzarti il cuore, finchè non prese a squotermi le spalle, sussurrando - o forse urlando -  il mio nome.

E in quel momento le sentii, sentii le lacrime rompere, distruggere, spezzare, le barriere che il mio corpo aveva creato. Le sentii rigare le mie guance e scendere sul collo, tracciando scie lucide.

E poi arrivò il dolore, portando con se ogni singola sensazione straziante che il corpo poteva provare. I polmoni bruciavano, le lacrime scendevano e la voragine nel petto si allargava, togliendoti qualsiasi forza nel corpo, risucchiandoti ogni sensazione di felicità, di vita.

Però rimanevo immobile, scossa solo dal pianto.

"Ti prego, parlami."

Sentivo la sua voce, ma era come se fossi dietro ad una porta, come se non fossi abbastanza vicina per sentirlo davvero. E lo vedevo. Ero completamente consapevole del fatto che fosse inginocchiato davanti a me, con le mani sul mio viso, che mi implorava di rispondere.

Ma era inutile, tutto quanto era inutile in quel momento.

[Harry]

"Brooklyn, ti prego."

Sentivo il cuore battere nelle orecchie e l'angoscia attanagliarmi il petto.
Averla vista scivolare a terra e poi restare immobile, immersa solamente nelle sue lacrime, senza dare nessun segno di vita.

Asciugai il suo viso con la mano e avvicinai il mio viso al suo, obbligandola a guardarmi negli occhi. Ma tutto ciò che vidi, furono solo due cristalli azzurri vacui, lontani da qualsiasi cosa la circondasse.

Sentii un vuoto nel petto, riempito solo da una paura folle.

"Brooklyn!" Mi ritrovai ad urlare, sperando di ricevere anche una minima risposta che non fossero lacrime.

Ma non ottenni niente.

Respirai a fondo e poi incastrai il mio braccio sotto alle sue ginocchia e l'altro sulle sue spalle.

La sollevai da terra e la portai su per le scale, spalancando poi la porta della nostra camera.
Mi sembrava di star portando in giro una bambina, addormentata profondamente sul divano, troppo stanca per andare a dormire sul letto.
Ma, invece, avevo tra le braccia una delle ragazze del mondo, in completo shock.

La distesi sul letto e provai, ancora una volta, ad incontrare i suoi occhi, fallendo ancora una volta.

Lasciai un piccolo bacio sulle sue labbra, bagnate dalle lacrime, e uscii dalla stanza.
Appoggiai la testa contro la porta in legno e respirai più volte, tentando di calmare la rabbia che sentivo dentro.

Mi girai e scesi le scale, cercando già con gli occhi Jake. Ero sicuro che lui sapesso cosa gli avessero detto al telefono.

"Jake!" Il mio urlo rimbombò nella grande casa, facendomi tremare.

Forse erano la paura, la rabbia e la preoccupazione a farmi tremare, ma in quel momento non me ne curai.

"Chi era al telefono? Cosa diavolo le hanno detto per ridurla così?!" Sbottai, non appena vidi il manager sulla soglia del giardino, seduto su una sedia, con il computer sulle ginocchia.

"Ho parlato poco con il padre, quindi non so bene cosa sia successo. So solo che la madre ha avuto un incidente in macchina e che era abbastanza grave." Rispose, mantenendo lo sguardo sul computer.

"Merda." Sbottai, sbattendo un pugno sul tavolo. Non mi preoccupai del dolore che sentii alla mano e mi lasciai cadere sulla sedia al mio fianco. Misi le mani tra i capelli e li tirai, sperando di svegliarmi ed uscire da quella situazione.

"Come sta?"

"Come credi che stia? L'ho dovuta portare in braccio in camera, perché non mi rispondeva. Rimaneva solo ferma a fissare il vuoto." Serrai gli occhi e espirai l'aria dai polmoni. "Cosa posso fare?" Sussurrai a me stesso, cercando un qualsiasi modo per alleviare il suo dolore. "Puoi smetterla di usare quel maledetto affare?" Domandai stanco, indicando il computer.

"Sto prenotando il vostro volo per Los Angeles, ragazzino. Hai cinque giorni per tornare, lei può saltare un paio di tappe." Sbuffò Jake, girando lo schermo verso di me.

"Grazie."

Mi alzai di scatto e corsi verso le scale, rischiando più volte di inciampare, ed arrivai praticamente senza fiato davanti alla poti chiusa della mia camera.

Ero sicuro di trovare Brooklyn ancora stesa a letto al mio ritorno, perciò fui davvero sorpreso quando la vidi in piedi, intenta a togliere i vestiti dall'armadio e buttarli malamente nella valigia.

Non osai muovermi ed intervenire, fino a quando non cercò disperatamente di chiudere il trolley e - non riuscendoci per la troppa confusione all'interno - iniziò a piangere, appoggiando la fronte sul tessuto rigido.

Sentii il cuore stringersi e una terribile angoscia entrarmi nel petto.

Mi avvicinai a grandi passi e mi chianai su di lei, togliendo la valigia dalla sua morsa e sostituendomi con essa.

In qualche modo, mi ritrovai seduto a terra, con il piccolo corpo di Brooklyn stretto tra le braccia.

Baciai la sua nuca e la strinsi di più a me, desiderando di poter assorbire un po' del suo dolore.

"Mia..Mia madre.."

"Lo so, lo so." Mormorai lasciando un altro bacio sulla testa e cullandola.

"Devo andare da lei." Aveva la voce rauca, come se faticasse a farla uscire, ma le sue parole erano chiare e coincise.

"Abbiamo un aereo tra un ora."

"Abbiamo?" Si staccò debolmente dalla mia presa e mi rivolse uno sguardo talmente vuoto da far paura, ma allo stesso tempo tanto pieno da farti mancare il respiro.

"Si." Spostai una ciocca rossa, appiccicata sul suo viso dalle lacrime, e le accarezzai la guancia. "Abbiamo."

• • •
[Brooklyn]

Mi sentivo pesante, come se avessi trasportato per tanto tempo un mattone di cemento, invece ero solamente rimasta seduta su un aereo per qualche ora.
Ogni passo che facevo era uno sforzo immenso e sembrava che potessi crollare da un momento dall'altro.

Più volte, durante il volo, mi ero soffermata a pensare a quanto fosse strano e allo stesso tempo affascinate il tempo. Nonostante fossimo partiti alle dieci del mattino da Dublino e avessimo fatto quasi undici ore di volo, eravamo arrivati a Los Angeles all'una del pomeriggio.
Cose così piccole ma allo stesso tempo coso grandi. Il tempo era qualcosa di conosciuto e allo stesso tempo sconosciuto alla mente umana, era quel particolare che a volte ti sfuggiva dalle mani e altre volte non riuscivi a far passare.

Quella volta, erano state le undici ore più lunghe della mia vita.

"Jake ha fatto venire una macchina in aeroporto." Mormorò Harry, percorrendo il corridoio verso l'interno dell'aeroporto. Avevo la sua mano appoggiata sul fianco, come se avesse paura che io potessi cadere da un momento all'altro.

Non avevamo preso l'aereo privato dei ragazzi, ma un semplice volo in prima classe, quindi ci stavamo muovendo in mezzo ad altri passeggeri.

"Se qualcuno vuole fermarci per domande o cose del genere, non rispondere. Basta che rimani vicino a me."

Presi gli occhiali da sole dalla borsa, l'unico bagaglio che mi ero portata dentro all'aereo, e li misi, nascondendo al mondo i miei occhi rossi e stanchi.

"Andiamo in macchina, qualcuno prenderà i bagagli per noi."

Camminai a testa bassa, guidata solo dalla mano di Harry sul mio fianco. Non appena respirai l'aria fuori dall'aeroporto di Los Angeles, sentii una moltitudine di voci concentrarsi verso di me - o meglio verso il mio ragazzo- e mi ritrovai a stringere, forse troppo forte, la mano del moro.

Lo sentii ricambiare la stretta, come per confermarmi la sua presenza, e continuai a tenere lo sguardo basso.

Avrei voluto potermi tappare le orecchie ed isolarmi nel mio mondo, anziché ascoltare ogni singola domanda che ci veniva posta. Ero sicura di aver sentito qualcuno domandare ad Harry se, prima di partecipare al concorso, ero stata una sua groupie.

Quando gli sentii chiedere se fossi stata scelta solo perché andavo a letto con un membro della band, sentii gli occhi bruciare e subito riempirsi di lacrime.

Quando finalmente entrai nella bmw, le sentii iniziare a scendere sulle guance, ma cercai immediatamente di scacciarle via con le mani. Sistemai gli occhiali e guardai il vetro dell'auto. Mi limitai a fissare la parte oscurata, cercando di ignorare il più possibile i giornalisti che avevano accerchiato la vettura.

Sentii la mano di Harry appoggiarsi sul mio ginocchio, ma non mi girai verso di lui. Non avevo la forza di farmi vedere ancora debole si suoi occhi.

Dopo essere partiti, aprii la borsa e presi il cellulare, dal quale digitai qualche messaggio per mio padre e per Jane.

"Andiamo subito in ospedale, poi ti accompagno a casa per farti riposare." La sua voce era decisa, finché mi esponeva ciò che avremo fatto quel giorno. Sapevo di non poter ribattere e non ne avevo nemmeno la voglia.

Annuii impercettibilmente e appoggiai la mano sulla sua.

"Grazie." Sussurrai, non incrociando ancora i suoi occhi.

"Ci sarò sempre." Replicò lui, avvicinandosi a me e lasciando un bacio sulla mia tempia.

"Ti amo." La mia voce era a malapena udibile, ma sentii comunque le sue labbra stendersi in un sorriso sulla mia pelle.

• • •
La vita era così fragile, bastava un soffio per portartela via, bastava un solo attimo per strappartela dal corpo.
Avevo sempre avuto paura che mio padre potesse morire, lo avevo temuto per anni, tanto che faticavo a pensare ad altro. Ma non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere a mia madre, che avesse rischiato la vita per qualcosa di così semplice.

"Non sono pronta." Mormorai davanti alla porta della stanza di mia madre.

Nonostante l'infermiera fosse rimasta molto sorpresa di vedere Harry, era riuscita senza problemi a dirmi il numero della camera in cui era mia madre.

Sapevo già che mio padre era al suo interno, ma non ero psicologicamente pronta per vedere mia madre, la donna che mi aveva dato tutto, in quelle condizioni.

"Nessuno lo è." Disse Harry, togliendomi gli occhiali dagli occhi e mettendoli sullo scollo della polo che portava. "Ma ora tu entri."

"Vieni con me." Mormorai d'impulso, incrociando i suoi occhi.

"Amore mio." Soffiò, abbracciandomi. "Io sarò qui fuori. Puoi chiamarmi in qualsiasi momento. Ma ora devi entrare e parlare con tuo padre."

Appoggiai la testa sul suo petto e sospirai. Probabilmente aveva ragione, dovevo entrare da sola per me stessa e per la mia famiglia.

Chiusi gli occhi per qualche secondo e poi mi staccai dalle sue braccia. Mi avvicinai alla porta e mi fermai con le mani sul pomello.

"Ti amo." Lo sentii dire, finché prendevo coraggio e giravo la maniglia.

Inspirai a fondo prima di entrare, ma sentii immediatamente i polmoni svuotarsi quando vidi mia madre distesa sul letto bianco, priva di coscienza, con dei tubi sulle braccia e il viso arrossato, ricoperto di piccoli taglietti e ematomi.

Un braccio era fasciato, mentre dall'altro uscivano piccoli tubicini.

Sentii le gambe cedere nel momento stesso in cui mio padre mi afferrò per le braccia per abbracciarmi.

Strinsi la sua maglietta tra le mani e sentii, ancora una volta, gli occhi bruciare.

"Grazie." Fù l'unica cosa che uscì dalle sue labbra.

Tutto il dolore che traspariva da quella sola parola, mi fece venire il nodo alla gola. Nemmeno lui meritava tutto questo, non dopo tutto quello che aveva vissuto.

"Hanno detto qualcosa?" Domandai, staccandomi dal suo corpo e avvicinandomi al letto bianco.

Trattenni il respiro quando lasciai un leggerissimo bacio sui capelli. Avevo così paura di farle male.

"Dicono che è fuori pericolo, ma che dovrà restare qui per un po'. L'hanno dovuta operare d'urgenza non appena è arrivata qui. Aveva il femore rotto in più punti e alcune costole fratturate." Si mise dalla parte opposta del letto e spostò una ciocca di capelli dal viso tumefatto della donna che amava. "Stava tornando a casa, dovevamo andare a cena fuori, per festeggiare tutti gli anniversari che mi ero perso finché ero in guerra." Una lacrima scese solitaria sulla sua guancia, marchiando la sua pelle leggermente abbronzata. "Volevamo anche festeggiare per la nostra bambina, che ormai è grande e sta vivendo la sua vita. Doveva essere una piccola serata solo per noi." La mano gli tremava finché sfiorava con le nocche la guancia pallida di mia madre. "E poi un pazzo ubriaco le è andato addosso. Ho visto come è ridotta la macchina, Brooklyn, e mi chiedo se Dio abbia davvero fatto un miracolo per salvarla."

• • •

Avevo passato quasi un ora dentro a quella stanza impregnata di disinfettante e, continuare a vedere i miei genitori in quello stato, mi stava mandando fuori di testa.

Non riuscivo a sopportare tutto ciò che i miei occhi vedevano, ma non ce la facevo a lasciare mia madre lì dentro. Soprattutto con la consapevolezza che si sarebbe potuta svegliare in qualsiasi momento.

Quando chiusi la porta dietro di me, sentii il cuore battere furiosamente nel petto e le gambe molli.
Però, non appena alzai lo sguardo, vidi Harry seduto su quelle piccole seggioline. Aveva la testa appoggiata sul muro e gli occhi chiusi, ma ero sicura che non stesse dormendo, soprattutto per il fatto che continuava a battere la punta del piede a terra.

Mi sedetti al suo fianco ed appoggiai la testa sulla sua spalla. Lo sentii sospirare e poi circondarmi le spalle con il braccio.

"Come sta?" La sua voce era stanca, ma cercò di mascherarlo schiarendosi la voce.

"È fuori pericolo." Mormorai, chiudendo appena gli occhi.

"E tu come stai?"

"Te lo dico dopo, adesso non lo so nemmeno io." Sospirai, staccandomi da lui e facendo un piccolo sorriso, sicuramente più finto di quello che immaginavo. Mi alzai e mi sistemai la maglia, cercando di ignorare i suoi occhi.

"Brooklyn.." Si mise davanti di me e fermò le mie mani, obbligandomi a dargli ascolto.

"Mi riprenderò." Sussurrai abbracciandolo. Avevo bisogno di quel contatto, anche se non poteva minimamente alleviare il dolore che sentivo al centro del petto.

Lo sentii ricambiare la stretta, nonostante fosse contrario al mio modo di reagire al dolore.

Lo strinsi a me, come se fosse la mia ancora di salvezza, perché in quel momento lo era davvero.

Da dietro la sua spalla, intravidi la testa bionda di Jane, intenta a prendere qualcosa alle macchinette.

"Quando è arrivata?" Domandai staccandomi da lui.

"Qualche minuto fa." Rispose, lasciandomi un bacio sulla testa. "Era molto preoccupata per te. Sa come reagisci quando stai male."

Mi aveva vista crollate tante volte negli anni, ma non avrei mai creduto che potesse capire ciò che succedeva nella mi testa in quei momenti di panico.

"Arrivo subito." Gli strinsi appena la mano e poi camminai verso la ragazza.

"Ciao." Sussurrai quando le fui dietro.

"Oh tesoro. Mi dispiace tantissimo." Disse subito, abbracciandomi. Erano passate appena due settimane dall'ultima volta che l'avevo vista, ma mi era mancata ugualmente, tanto che mi ritrovai a stringerla ulteriormente.

"Anche a me." Le mie parole erano piccoli sussurri, ma lei riusciva ugualmente a sentirli.

"Ho trovato parcheggio in fondo alla strada, Jane." Sussultai quando sentii quella voce richiamare la bionda.

Quel ragazzo era stato il mio primo amore, il mio primo appuntamento, il mio primo bacio e molte delle mie prime volte. Era stato anche il ragazzo che mi aveva fatta soffrire, che mi aveva tradita e lasciata.
Ma, in quel momento, vedevo solo il fratello di Jane, il mio vecchio amico, il ragazzo che c'era stato per me in ogni momento.

"Josh." Mi ritrovai ad abbracciarlo e, nonostante lui fosse rimasto sorpreso dalla mia reazione, lo sentii ricambiare la stretta. Era come essere tornati indietro nel tempo, come se non fosse cambiato niente.

Solo che io non ero più innamorata di lui.

"Come stai?" Mi domandò, quando mi staccai da lui.

"Lo sai che non risponderò mai sinceramente." Replicai, accennando un sorriso.

"Hai ragione."

Mi girai verso Harry e gli feci cenno di raggiungermi.

"Tutto okay?" Mi domandò chinandosi su di me e mettendo una mano sul mio fianco.

"Si."

Lo vidi salutare Jane con un cenno di capo e osservare il ragazzo biondo davanti a noi.

"Sono Harry, il ragazzo di Brooklyn." Mormorò porgendogli la mano. Il ragazzo ricambio subito la stretta, sorridendo appena.

"Avevo letto qualcosa su un giornale. Io sono Josh, il fratello di Jane."

Lo vidi lanciarmi un occhiata e, quasi avessi inteso ciò che diceva, annuii appena.

"Senza offesa, ma se non fossimo in un ospedale ti tirerei un pugno."

Sentii Jane ridere a crepapelle per la frase, mentre io per poco non sprofondai per l'imbarazzo.

"Credo di meritarmelo." Replicò immediatamente il biondo, lasciandomi di stucco.

"Josh, se mai dovessi a venire a sapere altro o Brooklyn mi dirà qualsiasi cosa, non esiterò a farlo. Spero tu capisca."

• • •

Quando misi piede in casa, mi resi conto di quanto mi fosse mancato quel posto negli ultimi due mesi.

"Ti porto la valigia in camera."

Guardai il ragazzo alzare agilmente la valigia e poi trasportarla su per le scale. Ero tornata a casa per riposarmi qualche ora, o almeno era quello che aveva detto mio padre quando mi aveva obbligata ad andare via dall'ospedale.

Aveva chiesto ad Harry di rimanere per la notte, per non lasciarmi da sola e io gli ero stata immensamente grata. Probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo ancora una volta.

Mi trascinai fino al divano e sedetti sul tessuto. Era come se essere entrata in quella cosa mi avesse tolto ogni forza nel corpo.
C'era l'odore di mia madre ovunque e sentivo una stilettata al cuore ogni volta che mi avvolgeva.

Sentii i passi di Harry nella stanza e poi le sue mani finirono sotto alle mie ginocchia e sulle mie spalle, sollevandomi subito dal divano e prenderemo in braccio.

Appoggiai la testa sul suo petto e ascoltai il suo cuore battere sulla cassa toracica. Ignorai dove mi stava portando finché non fui circondata dalle pareti del bagno.

Mi fece sedere sul bordo della vasca e aprì l'acqua doccia. Sentii le sue mani appoggiarsi sui miei vestiti e iniziare sfilarli. Tutto ciò che riuscii a fare fu alzare le braccia per facilitargli cosa.
Quando fui completamente nuda, lui si spogliò davanti a me, aiutandomi poi ad entrare nella doccia.
Rabbrividii quando sentii l'acqua della doccia toccare la mia pelle.
Rimasi con le braccia strette al petto e la testa bassa per qualche minuto, finché lui mi insaponava i capelli.

"Grazie." Sussurrai, finché passava le mani, piene di sapone, sulle mie braccia.

"Stai tranquilla, andrà tutto bene." Lo osservai insaponarsi a sua volta e poi trascinarmi con lui sotto al tetto d'acqua.

Era la prima volta che qualcuno faceva questo per me e, se non fosse stato per ciò che stava succedendo, probabilmente mi sarei sentita onorata di tali attenzioni.

Senza più sapone sul corpo, guardai il mio ragazzo sotto al getto d'acqua e mi chiedi come era possibile che un uomo così bello e così buono d'animo fosse innamorato di me.

Mi aiutò ad uscire dalla doccia e mi asciugò con un asciugamano, trascinando via ogni singola goccia dal mio corpo.

Nel giro di una decina di minuti mi ritrovai in camera, vestita solo con degli slip e una sua maglietta, rannicchiata sul mio letto.

Harry era al mio fianco, con indosso un paio di boxer bianchi.

"Come stai?"

"Meglio." Sussurrai, stringendo le braccia sulle ginocchia.

"Sto male a vederti così." Mormorò, accarezzando i capelli umidi.

"Scusa." Sussurrai, appoggiando la testa sulle ginocchia.

"Vieni qua." Sentii le sue mani staccare la presa delle mie braccia sulle gambe e sollevarmi, fino ad essere a cavalcioni su di lui. "Non devi scusarti. Io ti amo, è naturale che stia male quando tu stai male. Ma stai reagendo nello stesso modo di qualsiasi altra persona. Non mi prendi sempre in giro perché cito colpa delle stelle? Beh, il dolore deve essere vissuto."

Per la prima volta, un verso sorriso si aprì sulle mie labbra. Non sapevo se era stato causato dalla battuta o dal fatto che avesse detto ancora una volta di amarmi, ma comunque era stato un piccolo raggio di luce nelle tenebre.

"E a proposito di dolore. Se mi dici anche solo una parola, faccio passare le pene dell'inferno a quel biondino."

Ridacchiai e appoggiai la fronte sulla sua spalla.

"Quando lo hai abbracciato, non sapevo nemmeno chi era, ma volevo spaccargli la faccia. "

"Non devi essere geloso di lui, Harry."

"Non è così facile. Lui è stato... Tu e lui, insomma.." Sentirlo balbettare era divertente e allo stesso tempo stressante. Non era possibile che lui fosse geloso di lui.

"Mi stai chiedendo se ho avuto con lui la mia prima volta?" Domandai, togliendo un ciuffo di capelli dal mio viso. "Si, ma non per questo devi essere geloso. Io amo te, Harry. Non lui."

"Ma lui ti ha vista, ti ha avuta. Ed è una cosa che mi manda fuori di testa." Si passò le mani sul viso e butto fuori l'aria.

"È questo il problema?" Domandai stanca, guardandolo negli occhi. "Tu puoi avermi in qualsiasi momento, anche ora se vuoi." Sbottai, togliendomi la maglietta e appoggiandola sul letto.

Ero mezza nuda davanti a lui, solo per fargli capire che non doveva essere geloso di nessuno e che io, il mio corpo e la mia mente, eravamo tutti innamorati di lui, con ogni cellula possibile.

Lo sentii sospirare e attirarmi a sè per abbracciarmi.

"Non devi fare qualcosa che non vuoi solo perché sono geloso. Posso essere accecato dall'amore che provo per te, ma non ti obbligherò mai a fare niente che tu non voglia, soprattutto se è solo per farmi capire qualcosa."

"Io ti amo, Harry." Sussurrai contro il suo orecchio, stringendomi a lui e facendo combaciare i nostri petti nudi.

"Anche io. Scusami." Mormorò lui, distendendosi e trascinandomi giù con lui.

• • •

Mi svegliai di soprassalto quando sentii il telefono suonare.
Sbattei più volte gli occhi e allungai la mano verso il comodino, scivolando più volte con la mano nell'intento di prenderlo.

"Brooklyn, stai ferma." Sobbalzai quando sentii la voce assonnata di Harry.

"Devo prendere il telefono."

"Se ti muovi così mi creerai qualche problema." Replicò lui con voce leggermente strozzata.

Mi sollevai completamente da lui e sentii le guance ardere in mezzo al buio della stanza.

"Scusa." Mi alzai e presi il telefono, portandolo immediatamente all'orecchio.

"Che succede?" Domandai prendendo la maglietta da terra.

"Si è svegliata."

***
Okay, la prima parte la adoro e nemmeno so il perché, mentre l'ultima parte mi fa ribrezzo, ma okay.

Non ho niente da dire, solo grazie per le visualizzazioni.

Ah, inizia il conto alla rovescia per la fine di That video, ma non vi dico quanti capitoli mancano💞

Al prossimo capitolo,

Alis

((Aspettatevi di tutto ❤️))

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