Truyen2U.Net quay lại rồi đây! Các bạn truy cập Truyen2U.Com. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

1. Minorato mentale

Ophelia

In biblioteca regnava il silenzio, la maggior parte dei ragazzi della nostra scuola ignorava il potere illuminante della cultura, effetto naturale di anni di ignoranza, e i pochi ragazzi che erano lì erano tutti troppi presi dai loro studi per pensare di chiacchierare, per questo quel posto mi piaceva tanto. Ma quel giorno Leslie non riusciva proprio a smettere di parlare e straparlare, raccontandomi di come andassero le cose tra lei e Cole, di quanto lui fosse bello, dolce e intelligente, cosa di cui dubitavo sinceramente. La cosa che più mi sorprendeva però non era il soggetto della conversazione, quanto piuttosto la conversazione stessa, il suo genere. Io e Leslie ci conoscevamo da tanto, ma quella era la prima volta che parlavamo di ragazzi e la cosa mi lasciava inevitabilmente interdetta. Appena una settimana prima mi aveva confessato di aver fatto sesso con Cole, lo aveva detto come se fosse una notizia qualunque, lo stesso tono che si usa per parlare del tempo, per dire "domani piove". E poi basta. Aveva sganciato quella mega bomba mentre ci preparavamo al compito di biologia per poi chiedermi l'istante subito dopo se avessi preso appunti sull'ultima lezione. Io avevo annuito e le avevo passato il mio quaderno, forse avrei dovuto chiederle qualcosa al riguardo, ma non lo avevo fatto. Io non parlo di ragazzi. Di Cole non avevo saputo più nulla fino al giorno prima, quando lui era entrato in biblioteca -forse per la prima volta nella sua vita- mentre studiavamo e le aveva chiesto quando potevano vedersi di nuovo per studiare. Era la prima volta che associavo il nome di Cole, il ragazzo a cui Leslie dava ripetizioni, al viso di Price, il ricevitore. Specificare che voleva vederla solo per studiare mi era sembrata un'informazione non necessaria e avevo capito che voleva fare ben altro, il sorriso nervoso sul volto di Leslie quando lui se ne era andato mi aveva tolto ogni dubbio. Avrei potuto chiederle qualcosa anche in quel caso, ma non lo avevo fatto. Io non parlo di ragazzi.
Oggi, invece, sembrava che non esistesse nulla di più importante al mondo se non Cole Price, stupido ricevitore che, a detta di Leslie, sapeva fare delizie con la sua lingua -il solo pensiero mi faceva sentire strana- e neanche il funzionamento del nostro sistema solare riusciva a riportarla con i piedi per terra. Maledetta quella lingua.
In biblioteca c'è sempre silenzio perché la gente studia e non si può studiare se la tua compagna di studi non riesce a smettere di pensare ad alta voce a cosa faranno lei e il suo nuovo ragazzo quel pomeriggio a casa di lui. Per questo io non parlo di ragazzi, perché studio scienze.
Ma in quel momento non era proprio possibile studiare. Era la decima volta almeno che rileggevo quella pagina, non riuscivo a focalizzare la mia attenzione con lei che in sottofondo parlava di corpi nudi e dolci baci a fior di labbra, cercavo di studiare con metà cervello, mentre con l'altra metà seguivo le sue farneticazioni amorose, ma non ne ero capace. Sospirai. Tanto valeva a quel punto ascoltare cosa aveva da dire.
«Oh, eccolo, sta entrando in campo» esultò felice, affacciandosi alla finestra, per l'entusiasmo poggiò incurante la mano sul vetro avvicinando tanto il viso ad esso che quasi lo sfiorava con la punta del suo naso a patata. Sembrava una bambina entusiasta. Seguii il suo sguardo oltre la finestra, giù verso l'ingresso del campo da football dal quale stava uscendo un gruppo di ragazzi alla cui testa c'era proprio il fantomatico Cole insieme a quel suo amico che avevo visto con lui in corridoio, Dominic.
Di solito io e lei ci sedevamo in uno dei tavoli vicini alla sezione scientifica della biblioteca, quella era la parte che più ci interessava, ma quel giorno mi aveva chiesto di sederci vicino ad una delle finestre che davano verso il lato sud, dove si trovava il campo da football. Non rifiutai la sua proposta, cambiare tavolo per me non era di certo un problema, anzi, quei tavoli erano perfino più illuminati. Ma le sue motivazioni non erano di tipo pratico, le serviva soltanto un pretesto per parlare di Cole e se lo avessi saputo prima, avrei insistito per rimanere al nostro solito posto.
Cole, Cole e ancora Cole, se avessi sentito un'altra volta quel nome le mie orecchie avrebbero iniziato a sanguinare, ne ero certa.

«Sai, Cole», eccolo di nuovo, il suo nome. «Parla sempre di Dominic, dice che è molto intelligente» disse, probabilmente voleva chiedermi ancora una volta di dare ripetizioni a quel tizio.
Non so proprio per quale oscuro e misterioso motivo, ma l'opinione di Cole Price in merito all'intelligenza del suo amico non mi sembrava molto valida, per due motivi: primo, era evidentemente di parte, secondo, per dare un giudizio sul cervello di qualcuno bisognerebbe prima averne uno, opinione personale ovviamente, e questo non era sicuramente il caso. Conoscevo Dominic, era dalle medie che frequentavamo la stessa scuola e avevamo alcuni corsi in comune, inoltre era sempre stato quel ragazzo che tutti conoscono, ce n'è uno in ogni scuola, lui era quello della Greendale High School. A ognuno la sua croce.
Io non sapevo molto sul suo conto, non mi interessava granché conoscere l'esatto numero di ragazze che si era portato a letto, né volevo sapere i loro nomi e giudicare il loro aspetto come facevano le altre. Di lui mi bastava sapere due cose: che si era fatto una nella sezione libri fantasy della biblioteca scolastica dalla quale mi tenevo a debita distanza dal giorno, e che l'intelligenza non era di certo una qualità che lo riguardava, e non ero interessata ad approfondire le mie conoscenze in merito.
«Se lo dice lui dev'essere senz'altro vero» commentai, sfogliando il libro senza leggere nemmeno una parola di quello che c'era scritto. Lei nemmeno mi sentì era troppo presa dal suo monologo su tutte le qualità positive che le venivano in mente riguardo Dominic e su quanto fosse importante che io lo aiutassi a recuperare, mi era sembrato anche di sentirla dire che era un bravo ragazzo. La situazione stava precipitando. «Se è così bravo come dici, può studiare da solo» le feci notare. Lei si ammutolì per qualche istante, spostando lo sguardo dal campo di football a me, per tutto il tempo aveva parlato con il vetro.
«Be' sì, ma...» non sapeva cosa dire per difenderlo.
«Ma non è così bravo» completai io, lei distolse nuovamente lo sguardo, confermandomi quello che già sapevo da tanto e che una volta sapeva anche lei.
Leslie sospirò in segno di resa. «Dico solo che dovresti aiutarlo, almeno provare» disse, congiungendo le mani sotto il mento, pregandomi e guardandomi con i suoi occhioni azzurri in attesa di una risposta positiva. La guardai imperterrita, senza cedere sulle mie posizioni, e lei sentì di dover raddoppiare la posta. «Magari poi scopri che non è nemmeno così male», ecco, ci risiamo: ancora quel discorso su quanto io avessi bisogno di un ragazzo.
«Senti Leslie, sono contenta che Cole si sia rivelato più di un minorato mentale, ma non tutti sono così» dissi chiudendo il libro di astronomia, non potevo studiare in quel modo. «E poi non ho tempo da perdere», speravo che quella conversazione fosse finita e che l'argomento non venisse più toccato, ma non sapevo se volevo evitare solo di parlare di Dominic o anche di Cole.
«Si è fatto tardi, andiamo?» inventai, presi il libro e la cartella e mi alzai senza lasciarle nemmeno il tempo per rispondere.
Leslie mi guardò interdetta, con la bocca schiusa per lo stupore. «Tardi per cosa? Sono appena le 4» osservò, guardando l'orologio appeso alla parete.
«Ho un impegno» mentii, stringendomi nelle spalle con indifferenza, lei annuì si mise lo zaino sulle spalle e mi aspettò mentre ritiravo il libro, lo avrei letto a casa mia, dove niente avrebbe potuto distrarmi.
«Oggi non ti accompagno, scusami» disse, mentre scendevamo le scale per uscire, mi spiegò che quel pomeriggio, dopo gli allenamenti, doveva andare da Cole e, dato che avevamo finito prima, voleva approfittarne per darsi una sistemata. Le dissi di non preoccuparsi, proprio quel giorno non mi sarebbe dispiaciuta una bella camminata da sola fino a casa piuttosto che altri dieci minuti a parlare del suo ragazzo e di Dominic. «Promettimi che ci penserai».
«Pensare a cosa?» chiesi stupidamente.
«Alle ripetizioni» rispose ovvia, giusto. Pensavo di essere stata chiara in merito. Per quel giorno non avevo più voglia di parlarne, così mi limitai ad annuire poco convinta. Ci salutammo davanti all'ingresso, il mio passaggio era saltato e così avrei tagliato per l'uscita sud, avrei accorciato il tragitto.

Era una bella giornata, il sole era alto, non c'erano nuvole e le fronde degli alberi si muovevano appena, mosse da una leggera brezza che mi spingeva i capelli sul viso, se non avessi avuto un libro in mano li avrei volentieri raccolti.
Quando mi avvicinai al campo di football, iniziai a sentire l'inconfondibile voce del professor Jensen che incitava i ragazzi ad essere più cattivi, a metterci più impegno, non lo avevo mai sentito gridare in quel modo, di solito era un uomo pacato e tranquillo, ma le persone cambiano radicalmente quando si tratta di sport, quindi non mi stupii.
Quando fui davanti al campo mi fermai a dare un'occhiata, Dominic faceva parte della squadra di football. Un ragazzo era appena stato buttato a terra, Jensen gli gridò di svegliarsi, mentre dava una pacca sulla spalla corazzata di quello che lo aveva buttato a terra, Hart lessi sulla maglia.
I ragazzi si posizionarono di nuovo, schierati 11 contro 11, si prepararono per la prossima azione, Jensen portò il fischietto alla bocca e prima che potesse soffiarci dentro tutta l'aria che aveva in corpo, lo stesso ragazzo che aveva scaraventato al suolo uno si alzò e, voltatosi verso di me, si tolse il casco.
Oh no. No, no, no.
Strinsi il libro al petto e mi incamminai di nuovo verso casa, camminando spedita nella vana speranza di passare inosservata. «Merda, Hart! Torna subito qui!» gridò Jensen. «Ma che sta facendo? Qualcuno sa cosa sta facendo?» urlò. Sì, io lo sapevo, ma non avrei alzato la mano per rispondere a quella domanda.
Sentii i suoi passi che passavano dal prato soffice del campo al marciapiede, accelerai ancora, ma lui era nettamente più veloce di me.

«Ciao» disse all'improvviso la sua voce alle mie spalle, sussultai leggermente e mi voltai verso di lui, cercando di sembrare sorpresa. Davanti a me c'era un ragazzo alto e ben piazzato, le braccia nude erano muscolose, i bicipiti erano tesi per l'allenamento e le vene sotto la sua pelle abbronzata si erano gonfiate in seguito agli esercizi a cui si stava sottoponendo, i capelli scuri erano grondanti di sudore e i suoi occhi azzurri sembravano riflettere il colore del cielo sopra le nostre testa. Sembrava il solito prototipo del maschio idiota. Lo squadrai con un'occhiataccia, aspettando che aggiungesse qualcosa, ma non sembrava nel pieno controllo delle sue facoltà mentali, non ero neppure sicura che ne avesse.
«Sei tu Dominic?» chiesi con sicurezza, appena poco prima Leslie mi aveva parlato di un tale che aveva bisogno di aiuto per recuperare i voti e ora ecco il tipo di persona che ti aspetti abbia tutte F che mi fermava all'improvviso con la faccia sconvolta per un allenamento sfiancante. Inoltre era Dominic Hart, non sapere chi fosse era davvero impossibile alla Greendale High.
«Sì» disse, ricomponendosi e prendendo un bel respiro come se gli mancasse l'aria. «Come fai a saperlo?». Per educazione mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo per quella domanda stupida, la cui risposta era ovvia, e mi limitai a dirgli che mi avevano già detto di lui. «Okay, quindi va bene?» chiese, gonfiando già i polmoni, pronto per tirare un sospiro di sollievo. Dava già per scontato che avrebbe ricevuto una risposta positiva, illuso.
«No» risposi fredda storcendo il naso, come poteva pensare che avessi tempo da perdere per spiegare ad un completo imbecille cosa fossero le disequazioni di secondo grado?
Il ragazzo strabuzzò gli occhi e smise di sorridere, guardandomi con più attenzione, forse si aspettava una giustificazione, ma vedendo che questa non arrivava mi domandò cosa intendessi dire.
E dire che era il vocabolario base di ogni individuo.
«Di solito quando dico "no", intendo dire "no"» dissi con fare saccente, mentre mi sistemavo gli occhiali sul naso spingendoli verso l'alto con un dito.
Il ragazzo sbattè le palpebre un paio di volte, come se stesse realizzando il concetto, e poi balbettò con incertezza: «Sì, certo, "no". Ma perché?», ancora una domanda stupida. Mi guardò spaesato e si passò una mano tra i capelli sudati per sistemare quello che prima dell'inizio del suo allenamento doveva aver avuto le sembianze di un ciuffo.
«Ho di meglio da fare, semplice» risposi, stringendomi nelle spalle. Il professore di scienze, il coach della squadra di football della scuola, soffiò nel fischietto e poi lo chiamò a gran voce imponendogli di darsi una mossa.
«Un attimo» gridò lui, senza staccare gli occhi dai miei mentre con la mano faceva cenno al suo coach di aspettare.
«Senti, ho bisogno di te per recuperare, da solo non ce la faccio. Non te lo chiederei se non fosse importante» disse velocemente, sembrava sinceramente e disperatamente bisognoso del mio aiuto, i suoi occhi chiari mi scrutavano attentamente in cerca di conferme che non trovavano.
«Hart» lo richiamò il professore, urlando con forza il suo nome. Lui alzò gli occhi al cielo e si scusò per doversene andare, dicendomi, un attimo prima di darmi le spalle e correre via, di pensarci su e dargli una risposta l'indomani.
«No» gridai per farmi sentire, lui si voltò appena e disse di non avermi sentito. «La mia risposta è no» ripetei alzando la voce tanto che mi avrebbero sentito anche dalla linea di meta, ma lui indicò il suo orecchio con l'indice e fece segno di no con lo stesso dito. Stupido idiota, sapevo perfettamente che mi aveva sentita.
Sbuffai seccata. Non era comunque un problema, gli avrei potuto dire di no anche domani, il giorno dopo e quello dopo ancora se fosse servito a schiarirgli le idee sulla mia posizione.
Gettai un ultimo sguardo al campo, il professore stava rimproverando Dominic, ma lui non sembrava intenzionato a chiedere scusa per il suo comportamento. Jensen alzò le braccia seccato, con Dominic non si poteva ragionare. Era il miglior giocatore della scuola e lo sapeva, per questo -oltre che per la sua spiccata immaturità- sentiva di avere il potere di fare e dire quello che voleva, il posto sarebbe stato suo comunque.
Mentre ricomponevano la formazione, il ragazzo lanciò una rapida occhiata verso di me, mi sorrise beffardo prima di rinfilarsi il casco, probabilmente pensava di potermi far cambiare idea facilmente, ma si sarebbe accorto presto che sbagliava.

Autrice: ho deciso di pubblicare il 2° capitolo, giusto per vedere se può funzionare, nel caso poi dovrò capire se riesco a scriverla davvero o se è solo un'ispirazione passeggera.

Hope you like it 🌸
Baci,

-LaBugiarda✨

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Com