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2. George Washington

Quello che ancora non sapevo su Dominic Hart -e che forse avrei saputo se avessi prestato più attenzione alle voci di corridoio- era che fosse il ragazzo più ostinato e testardo di tutta la scuola e che non avrebbe accettato tanto facilmente il mio rifiuto almeno quanto io non avrei così facilmente ceduto alle sue proposte. Col senno di poi avrei ascoltato quello che le mie compagne bisbigliavano sul suo conto, ma fino a quel momento non avrei mai pensato di dover trascorrere del tempo con lui oltre quelle poche ore che avevamo in comune nel l'orario scolastico.

Quella mattina il suo pensiero non aveva sfiorato la mia mente nemmeno per un brevissimo istante, avevo preparato la mia borsa, dato un'occhiata agli appunti delle ultime lezioni, preso uno spuntino per colazione e poi ero uscita. Ero arrivata a scuola a piedi, casa mia non distava molto e avevo sempre trovato piacevole camminare quando l'aria fresca del mattino mi solleticava la pelle, mi rilassava e mi schiariva le idee. Davanti al mio armadietto c'era già Leslie, che mi aspettava con un gran sorriso sulle labbra. Era una ragazza un po' bassa, ma comunque più alta di me, dal fisico minuto, con i capelli spaventosamente biondi e lisci che le arrivavano alle spalle e grandi occhi azzurri dietro un paio di spesse lenti senza le quali il mondo le appariva come un insieme informe di macchie colorate, aveva lineamenti dolci e un po' infantili che la facevano sembrare più piccola di quanto in realtà non fosse. La salutai e aprii il mio armadietto. Tutto fino a quel momento era stata routine.
«Ieri io e Cole abbiamo fatto sesso» disse, mentre ancora sistemavo le cose sul ripiano. Mi fermai un instante per recepire l'informazione, ancora non mi ero abituata all'idea che lei avesse un ragazzo che per giunta era parte della squadra di football. Era una cosa strana ed era strano parlarne. Mi limitai ad annuire, non sapevo cosa dirle, ma lei non si scoraggiò e continuò a parlarmene. Si fermò dopo la descrizione dei preliminari, aveva già iniziato a balbettare alla parte del bacio, da lì in poi era stata la morte delle sue capacità narrative. Chiusi l'armadietto e mi appoggiai ad esso con la schiena. «Mi ha invitata ad andare con lui da Poppy's, pensi che dovrei?» mi chiese. Non sapevo perché si aspettasse che io sapessi la risposta a quella sua domanda, non credevo di essere qualificata per gestire i suoi impegni, tantomeno se si parlava di rapporti umani. Mi strinsi nelle spalle, di certo andare da Poppy's, unico posto decente nella nostra piccola cittadina dove dei ragazzi potessero incontrarsi per mangiare e passare del tempo insieme, non l'avrebbe uccise. Io non c'ero mai stata, comunque. «Sta arrivando» disse poi.
Sollevai lo sguardo verso il corridoio e Cole era lì, che avanzava tra le file di armadietti facendo voltare tutte le ragazze. Accanto a lui c'era Dominic, stava digitando qualcosa al telefono e non sembrava neppure essersi accorto che il suo amico stava virando verso di noi, non ci aveva ancora degnate di uno sguardo, al contrario di Cole che rivolgeva un seducente sorriso alla mia amica, che non aveva chiaramente bisogno di essere sedotta, non più almeno. Si appoggiò all'armadietto accanto a quello di Leslie con un braccio, lei aveva un sorriso eccitato, nervoso e quasi febbrile, quel ragazzo le spegneva il cervello e la confondeva, non sapeva come sentirsi quando c'era lui, quando si avvicinava a parlarle in pubblico e tutti si voltavano a guardarla incuriositi, ma almeno se c'era Cole non parlava di lui con me.
«Ciao» le disse con un tono lascivo, lei sollevò timidamente una mano in segno di saluto, bastava che lui la salutasse perché lei si eccitasse? Iniziavo a capire come erano diventati una specie di coppia. Si chinò sul suo orecchio e le sussurrò qualcosa che la fece arrossire, non morivo dalla voglia di sapere cosa le avesse promesso, ma di certo lei me lo avrebbe raccontato non appena lui se ne fosse andato. Poi si rivolse a me, con un sorriso meno malizioso: «Dominic deve chiederti una cosa» disse, alzai gli occhi al cielo, aveva detto che me lo avrebbe chiesto ancora, ma non pensavo a un'imboscata nel corridoio già di prima mattina. Cole si guardò intorno, il suo amico non era lì pronto a cogliermi di sorpresa come si sarebbe aspettato, una ragazza lo aveva fermato a metà strada e ora cercava di sedurlo facendo scivolare le sue sottili e delicate dita smaltate di rosa sul suo braccio nudo, lui neppure la notava, le parlava guardando dritto davanti a sé, ben più in alto della sua testa, lei abbassò i suoi occhi luccicanti di lacrime sulle sue scarpe firmate. Le diede una pacca sulla spalla e se ne andò, riprendendo a guardare il telefono come se non avesse appena distrutto le speranze di una ragazzina che sognava il grande amore, cinicamente, sembrava che fosse una cosa normale per lui, che lo avesse fatto milioni di volte.
Ci raggiunse e mise il telefono in tasca, si fermò davanti a me e mi guardò negli occhi, cercandovdi creare un breve momento di intensità. Se lo avessi guardato negli occhi troppo a lungo mi sarebbe venuto il torcicollo per la posizione innaturale a cui mi costringevo, ma ressi comunque il suo sguardo freddamente e qualsiasi cosa lui sperasse di trovare nei miei occhi non la trovò. Si morse rapidamente il labbro e mi studiò.
«Ophelia» disse, scandendo lentamente ogni lettera come se accarezzasse ad uno ad uno i suoni che lasciavano con dolcezza le sue labbra. Cercava ancora di creare un momento, si aspettava che io mi lasciassi andare a lui e accettassi per libidine di fargli da tutor, sperava di prendermi per la gola con una storia di sesso alla Leslie e Cole.
«Sì?» lo incitai a formulare una frase di senso compiuto. Il giorno prima mi era sembrato che sapesse mandare avanti una conversazione e ora scoprivo che non era capace neppure di quello, bella delusione.
Capì che quel suo trucco non stava funzionando e con un sospiro si lasciò andare a una postura più naturale e meno tesa, rilassando i muscoli e mostrando una versione meno pompata di sé stesso. Allora mi concessi di chinare un attimo il capo e passarmi una mano dietro il collo dolorante, per poi tornare a guardarlo negli occhi, ancora in attesa di quella frase.
«Hai pensato a quello che ti ho chiesto?» chiese. Avrei potuto dirgli che sì, ci avevo pensato, ma che la mia risposta rimaneva invariata, almeno avrebbe avuto il contentino, ma la triste verità era che nemmeno per un secondo avevo ripensato a lui che aveva bisogno di aiuto per studiare e recuperare le sue F. Mi interessava di più il sesso tra Leslie e Cole o, che so, The Bachelor, per dirne uno.
«No» dissi invece, l'onestà è sempre quella che da le delusioni più amare. Lui sgranò gli occhi per la sorpresa, la sua espressione era impagabile, dovetti trattenere un sorriso soddisfatto, di certo si aspettava una risposta diversa.
«E non potresti pensarci?» chiese ancora, reclinando la testa di lato.
«Potrei» gli risposi, un lampo di speranza attraversò il suo sguardo dandogli una nuova scarica di energia. «Ma non lo farò, non ho tempo da perdere, sopratutto non con te» aggiunsi subito dopo e il suo sguardo si spense nuovamente. Quella pausa era stata totalmente inutile al livello pratico, non avevo minimamente preso in considerazione l'idea di pensarci, ma non ero riuscita a trattenermi da quello stratagemma teatrale. Aveva funzionato così bene.
La campanella suonò.
Mi separai dall'armadietto per andare in classe, ma con quel gesto, mettendomi dritta in piedi davanti a lui, la distanza tra di noi diminuì in modo non previsto. Deglutii a disagio.
«Scusami» dissi, sistemandomi la tracolla della cartella sulle spalle e aspettando che capisse di doversi spostare, lui annuì e fece un passo di lato, lasciandomi lo spazio di andare via.
«Ti farò cambiare idea» gridò mentre attraversavo a passi svelti il corridoio, mi voltai verso di lui, sorrideva e ostentava una sicurezza che di certo non aveva, ma in quel momento capii che ci sarebbe voluto più tempo del previsto a convincerlo che non ero disposta a fargli da tutor.

Raggiunsi l'aula di storia e mi sedetti in uno dei primi banchi, sempre liberi.!Leslie aveva biologia alla prima ora e non ci saremmo riviste fino alla terza, non avevo voglia delle sue chiacchiere, avevo solo bisogno che mi distraessero dagli sguardi che tutti mi rivolgevano quando entravano in classe e mi passavano accanto. Mi sforzai di tenere gli occhi puntati sul libro di storia, già aperto alla pagina dell'argomento che avremmo affrontato quella mattina, ignorando tutto il resto.
«Era Hart quello?» disse una voce familiare alla mie spalle, un brivido attraversò la mia schiena. Mi costrinsi a non voltarmi verso di lui e a continuare a leggere, ma la storia dell'America aveva appena perso importanza e tutte le parole mi sembravano vuote: 4 luglio, dichiarazione d'indipendenza, Washington.
Mi concentrai, senza Leslie l'unico mezzo che avevo per distrarmi era la mia mente.
Washington: nato il 1732, in Virginia, comandante durante la guerra d'indipendenza americana, iniziata nel 1775 e conclusasi bel 1783, primo presidente degli Stati Uniti dal 1789 al 1797, considerato uno dei padri fondatori, ritratto sul Monte Rushmore, scolpito tra il 1927 e il 1941, insieme a Jefferson, Roosevelt e Lincoln.
Ma quelle erano solo le cose base, qualsiasi bambino avrebbe potuto fare lo stesso. Non andava bene, dovevo concentrarmi, pensare.
Washington, Washington, Washington.
«Mi stai ignorando?» chiese, ci stavo provando. Alzai gli occhi al cielo, lo spirito di George non mi avrebbe aiutata, così mi voltai verso il banco dietro il mio, l'ora era appena iniziata e non potevo ignorarlo per sempre, a quel punto era meglio arrendersi subito.
«Sì, e quindi?».
Ned aveva un ghigno divertito e maligno mentre si prendeva silenziosamente gioco di me. «Oh, nulla» rispose stringendosi nelle spalle e ridendo sotto i baffi, ma avevo colto l'illusione. Non aveva nessun motivo per pensare che ci fosse qualcosa, voleva solo darmi fastidio. Mi voltai di nuovo verso il mio banco, l'ultima cosa che volevo era discutere con lui.
Washington...

«Oggi è venerdì, al Poppy's ci sarà un sacco di gente, ho paura che andrà tutto male. Questo è il nostro primo appuntamento? Cioè, so che dovrei saperlo, ma lui mi chiede sempre di andare a casa sua e non so se quelle volte contino, non sono nemmeno sicura che conti questa. Cosa pensi che dovrei mettere? Pensavo a una canottiera e a degli shorts. Ho anche una gonna, è molto carina, nera, a vita alta, un po' corta, non troppo però, ma non sono sicura di voler andare al Poppy's con una gonna, non di venerdì». Leslie parlava a ruota libera ed io annuivo e sorridevo senza ascoltare realmente. Pensavo a Ned e a Washington, che aveva iniziato a perdere i denti a vent'anni, quando era diventato presidente gliene era rimasto solo uno. Aveva moltissime dentiere.
Mentre io e lei facevamo la fila con il vassoio in mano in attesa che arrivasse il nostro turno perché ci venisse servito il pranzo, Dominic sfilò davanti a noi, senza notarci, seguito da una ragazza bionda tutta pepe e tacchi 12 che di certo non si metteva gli stessi problemi di Leslie nell'indossare gonne cortissime che lasciavano scoperte le sue lunghe gambe, prese il vassoio di un ragazzo che stava giusto per essere servito e prese il suo posto nella fila come se fosse un suo legittimo diritto, ne prese anche un altro per la sua amica che lo ringraziò con un morbido bacio sull'angolo delle sue labbra che si curvarono in un mezzo sorriso. Le due vittime tornarono indietro con una faccia mesta e lo stomaco brontolante, ci sarebbe voluto un po' prima che toccasse di nuovo a loro.
«Pensi che potrei mettere la gonna, quindi?» mi chiese, dandomi un pizzicotto sul braccio. Sussultai e mi voltai a guardarla, aveva un'espressione divertita.
«Suppongo di sì». Onestamente non capivo che problemi ci fossero, ormai Cole conosceva le sue gambe.
«Sono così agitata, quel ragazzo mi fa impazzire» disse con entusiasmo. Questo era evidente.
George Washington era un tipo taciturno, parlava solo quando aveva qualcosa da dire e non si perdeva in inutili lungaggini, il suo discorso inaugurale per il secondo mandato durò 2 minuti, notevole. Se un presidente aveva fatto un discorso di 2 minuti per il suo secondo mandato, allora in proporzione Leslie poteva limitarsi a parlare di Cole solo per 5 secondi. Ma sembrava che non ne fosse capace.
Finalmente toccò a noi, Gwyneth versò nel mio piatto una porzione di pasta mal cotta ricoperta da un pesto dal colore non propriamente invitante, poi aggiunse il pane e una mela rossa e lucente, probabilmente l'unica cosa realmente commestibile sul vassoio, la ringraziai e andai a sedermi in un tavolo vuoto, accanto a Leslie.
«Ho un'idea» esclamò al settimo cielo, mentre io assaggiavo poco convinta il mio pranzo.
«Mh?».
«Vieni da Poppy's con noi», per poco non mi strozzai con il cibo. Se si aspettava che stessi lì a fare la candela mentre lei baciava e spogliava con lo sguardo il suo ragazzo, si sbagliava. «Non guardarmi così, dirò a Cole di invitare Dominic, non sarà un appuntamento, ma un'uscita tra amici», la cosa mi allettava ancora meno se possibile.
«Ma tu non volevi un'appuntamento vero?» chiesi, sperando di riuscire a dissuaderla in qualche modo.
«Vero, ma ascolta: ho bisogno di un'uscita di prova, una cosa più semplice. Con te mi sento più tranquilla» disse con un dolce sorriso entusiasta dipinto sulle labbra.
Le sorrisi. «No» risposi, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi supplicanti. «Vorrei, ma non posso». In realtà potevo, ma non volevo.
Lei mi ringraziò comunque, un po' delusa, ma non per questo meno felice di uscire con Cole. Leslie aveva questa innata felicità nel cuore, che la spingeva ad essere sempre dolce e gentile nei confronti di tutti.

Davanti a noi si piazzarono due ragazzi alti e muscolosi, che spostarono le sedie all'unisono e si sedettero come se fosse un balletto preparato e contato secondo per secondo. Cole e Dominic cercavano a stento di nascondere due sorrisetti ansiosi. Leslie era già agitata, le mani le tremavano leggermente mentre portava la forchetta alle labbra tinte di rosa.
Dominic incrociò le braccia sul tavolo e si sporse in avanti, verso di me. Mi guardava negli occhi con insistenza, come aveva fatto quella mattina in corridoio. No, lui non mi guardava. Lui guardava Cole, guardava Leslie, guardava Gwyneth; io guardavo lui. Lui mi fissava, mi fissava con una tale intensità che non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi. Io, certo, non volevo essere la prima ad abbassare lo sguardo, ma, a prescindere dalla mia volontà, sentivo proprio di non poterlo fisicamente fare. Non potevo smettere di guardarlo finché lui mi avesse fissato in quel modo.
Stava ancora cercando di creare un momento, non ci sarebbe riuscito.
Non saprei dire quando, ma ad un certo punto anche io smisi di guardarlo.
Ciano.
Ciano era il colore dei suoi occhi, attraversati da pagliuzze dorate che li rendevano magnetici, avevano un taglio affilato e duro ed erano incorniciati da lunghe ciglia nere, che in nessun modo riducevano la virilità del suo sguardo penetrante. Le pupille, ridotte al minimo per via della forte luce che arrivava dall'ingresso del cortili e che gli illuminava il viso creando interessanti giochi di ombre sulla sua pelle ambrata, li rendevano ancora più ipnotici, togliendogli quel poco di dolcezza che avrebbe altrimenti avuto. Aveva gli zigomi alti e le guance incavate e magre, che indurivano i suoi lineamenti e gli donavano un'aria di altezzosa superiorità, accentuata dal naso dritto e perfetto, di quelli che le persone sperano di ottenere con un intervento di rinoplastica. Le labbra erano piene e apparentemente morbide e sulla mascella squadrata si vedeva l'ombra della barba che iniziava a ricrescere, e che metteva in evidenza la forma dura del suo viso.
Non c'era nulla che fosse considerabile anche solo lontanamente sgradevole nel suo viso, che sembrava quello di un attore o di un modello dell'alta moda italiana.
Dominic scrollò le spalle e sospirò soddisfatto, lasciandosi scivolare sullo schienale della sedia. Deglutii.
«Hai detto che non hai tempo da perdere, bene, ti dimostro che non sono una perdita di tempo» disse. «Cole?», il suo amico tamburellò rapidamente le mani sul tavolo, preparandosi al teatrino che avevano preparato.
«I nomi dei gas nobili?» chiese.
«Elio, neon, argo, cripto, xeno, rado» rispose subito lui.
«La forza?».
«Grandezza fisica vettoriale che provoca l'accelerazione di un corpo, la sua formula si evince dal secondo principio della dinamica, introdotto da Newton, essa corrisponde al prodotto tra la massa e l'accelerazione» ripeté, teneva gli occhi sollevati verso il soffitto nello sforzo di ricordare ciò che probabilmente aveva imparato a memoria un'ora prima nella speranza di impressionarmi.
«Organismi autotrofi?».
«Assorbono dall'ambiente sostanze inorganiche semplici».
«Nono pianeta del sistema solare?».
«Plutone, ma dal 2006 è considerato un pianeta nano».
Cole tamburellò di nuovo sul tavolo, lo spettacolo era finito. I due si scambiarono rapidamente una lunga sequenza di cinque che concludeva con un forte pugno contro pugno, poi si voltarono verso di me tutto sorridenti e soddisfatti.
«Impressionante» dissi con sarcasmo. «Sono davvero colpita dalla tua straordinaria intelligenza, hai ragione. Be', vedo che te la cavi benissimo da solo, io non ti servo», appoggiai la forchetta sul vassoio, non avrei mangiato nemmeno un altro boccone di quella pasta.
«No! Non sono così bravo come sembra» disse subito. Non eravamo d'accordo neanche su questo: non sembrava bravo.
Mi strinsi nelle spalle. «Io non sbaglio mai» risposi con un finto sorriso, presi la mia mela e mi alzai dal tavolo, seguita da Leslie che mi supplicava di dargli una possibilità, ma niente mi avrebbe fatto cambiare idea. La mia pausa pranzo era appena stata rovinata da una scimmietta ammaestrata e io non ne volevo più sapere nulla.

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