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3. Numeri di ossidazione

Dominic

Lunedì avevo il compito di chimica ed ero nella merda. Non avevo preso appunti su nessuna lezione, non le avevo seguite, delle volte non ero neppure entrato in classe, mi ero preso un'ora libera per dar modo ad alcune ragazze di concludere certe loro promesse molto allettanti che lì per lì mi erano sembrate più importanti di un'ora di lezione. Ora l'unica cosa che sapevo erano i nomi dei gas nobili: elio, neon, argo, cripto, xeno e... ce n'era un altro... non me lo ricordavo.
Avrei voluto dire che non mi pentivo di nulla e che avrei rifatto ancora le stesse scelte, che del buon sesso valeva una F, ma non era così. Mi pentivo di tutto e avevo un disperato bisogno di aiuto.
Avevo bisogno di Ophelia.
Ma quella ragazza era testarda come non mi sarei mai aspettato. Sembrava così dolce e innocua, con gli occhi grandi e una criniera di capelli rosso mogano, il naso un po' all'insù, sul quale scivolavano i grandi occhiali tondi, e le labbra a cuore come quelle dalle bambole, di cui aveva anche il formato, alta un metro e tanta voglia di crescere. Ma l'apparenza inganna, in lei non c'era niente di dolce.

L'aspettai dopo la fine delle lezioni con la vana speranza che lo stalking potesse spingerla ad arrendersi. Cole si offrì di farmi compagnia per un po', a detta sua non si abbandona un amico durante crimini perseguibili legalmente, ma non ero certo che lo pensasse per davvero, sapere che Ophelia non mi avrebbe denunciato lo rendeva più coraggioso di quanto non fosse realmente.
«Quindi vuoi tenderle un agguato?» mi chiese incrociando le braccia, annuii. «È una cosa da disperati».
«Io sono disperato» gli feci notare ed era vero. Non ero bravo in molte cose, a dire il vero non sapevo fare nulla, i miei grandi talenti si limitavano a Guitar Hero e al sesso, ero un vero dio del sesso. E poi c'era il football. Il football era un dono. La gente si allena, va in palestra, fa esercizi, cerca di imparare a fare quel lancio di inizio nel modo perfetto, ma io non ne avevo mai avuto bisogno, lo sapevo fare da prima che qualcuno decidesse che ero bravo e decidesse di mettermi in squadra. Tutti gli allenamenti che facevo non servivano ad altro che a diventare il migliore in assoluto e lo sarei stato. Ma per diventare i migliori bisogna dimostrare agli altri di cosa si è capaci e non lo avrei potuto fare stando in panchina. Un dono non è niente se non viene usato.
Nel frattempo erano già usciti tutti, professori inclusi, e mi aspettavo che anche lei uscisse da un momento all'altro.
Dopo qualche minuto di calma piatta la porta si aprì, mi voltai di scatto per guardare chi fosse, sperando che si fosse decisa a venire allo scoperto, ma non era lei, era Leslie che corse subito verso Cole, gettandosi tra le sue braccia. Lui la salutò con un bacio piuttosto vorace, attirando il bacino di lei verso di sé. Abbassai gli occhi su un sassolino solitario, decisamente meglio che guardarli mentre si spogliavano con lo sguardo a vicenda. Quando si separarono, lei si voltò verso di me come se mi avesse notato solo in quel momento e mi salutò sollevando la mano con un timido sorriso sulle labbra tinte di rosa. Mi chiese cosa ci facessi ancora lì, lanciai una rapida occhiata a Cole, quindi non era lì per fare compagnia a me, ma per aspettare la sua nuova fiamma.
«Aspetta Ophelia» rispose lui al mio posto, le labbra di Leslie si erano schiuse un poco per lo stupore, ma era visibilmente dispiaciuta.
«È in biblioteca, non uscirà molto presto» disse, sorrise nervosamente quando Cole si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle qualcosa. Feci finta di nulla e mi strinsi nelle spalle con disinvoltura.
«Aspetterò», e aspettai.

Loro due se ne erano andati subito dopo, avevano certi bisogni da soddisfare, ed io ero rimasto lì per due lunghissime ore in cui avevo ascoltato musica, giocato a calcio con il sassolino, preso a pugni l'aria, commentato la tosatura del giardino e, per ultimo, immaginato di diventare presidente degli Stati Uniti, non era per nulla il lavoro adatto a me, ma immaginare la mia ascesa politica tra complotti ed eccitanti intrighi -magari con qualche segretaria sexy- era servito a distrarmi dal passare del tempo.
Se avessi saputo che avrei aspettarla così a lungo non lo avrei mai fatto, sarebbe stata una cosa folle. Ma era venerdì. Il venerdì la gente esce, si diverte o al massimo passa il pomeriggio a poltrire sul divano guardando la tv, pensavo che lo facesse anche lei, che almeno il venerdì chiudesse i libri e dicesse fanculo a tutto, ma me lo sarei dovuto aspettare, non era il tipo.
La prima ora era passata abbastanza velocemente, forse perché ancora non mi ero stancato di quel sasso, ma poi fingere di essere il miglior calciatore del mondo aveva iniziato ad essere noioso e allora l'avevo tirato dall'altra parte del giardino. Dopodiché mi ero ripromesso di rimanere solo altri 10 minuti, che poi diventarono 20, poi 30 e così via e proprio quando avevo finalmente deciso di andarmene lei uscì, seguita da una brunetta che non avevo mai visto.
Si fermò davanti all'ingresso della scuola, con le braccia conserte e un'aria severa, era una gara di sguardi. L'altra ragazza mi guardava imbarazzata, arrossì non appena rivolsi a lei il mio sguardo, quando sfoggiai il mio migliore sorriso la poveretta per poco non si sciolse, si inventò una scusa per fuggire e mentre correva via non mi staccò gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. Quella era una reazione piuttosto normale, il tipico effetto Hart, gambe che cedono, fronte che suda, occhi che sognano, cuore che batte, ma quando rivolsi quello stesso sorriso ad Ophelia lei non mostrò nessuno dei sintomi.
«Dici che mi sognerà stanotte?» scherzai, speravo almeno di riuscire a strapparle un sorriso. Lei alzò gli occhi al cielo in modo molto teatrale, be' era pur sempre meglio di niente.
«Susan sognerebbe qualsiasi essere umano di sesso maschile le rivolga un sorriso, non pensare di essere speciale per questo» rispose, ci sarebbe stato bene un sorriso alla fine di quella battuta, almeno un abbozzo, ma ovviamente la sua espressione rimase neutrale, passivo-aggressiva, forse non era una battuta o forse non sapeva sorridere.
«Io ti stavo aspettando» dissi, giustificando la mia presenza lì.
«Questo lo vedo».
Ophelia era ancora ferma sulla porta d'ingresso ad almeno 4 metri di distanza da me. Indossava una gonna rossa a quadri, che arrivava fino a metà coscia e che un leggero vento faceva svolazzare sul suo fianco destro, e una camicetta bianca con una lunga fila di bottoni dietro la schiena che avevo notato quella mattina quando se ne era andata al suono della campanella e ancora quando si era alzata nervosamente a pranzo, la stoffa era così leggera da essere quasi trasparente e le ricadeva morbidamente addosso, le maniche rimanevano un po' larghe per poi stringersi sui polsini abbottonati e sotto il colletto, perfettamente sistemato, c'era un grande fiocco nero il cui nastro di raso scivolava morbidamente sul suo seno. Mia madre era una stilista, per questo sapevo che era raso.
«Ho un'emergenza e ho un disperato bisogno di te» la supplicai, con le mani giunte e l'espressione più triste possibile. Se qualcuno ci avesse visto avrebbe sicuramente sorriso a quella scena: due ragazzi che parlavano a 4 metri di distanza l'uno dall'altra, uno quasi in ginocchio e l'altra assolutamente impassibile, o almeno, io lo trovavo ridicolmente divertente per via di quei 4 metri. Insomma, perché c'era tutto quello spazio tra di noi?
«Un disperato bisogno di me, eh?» disse sollevando un sopracciglio con aria scettica, annuii. «Io ho il disperato bisogno di essere lasciata in pace da te, purtroppo non possiamo avere tutto».
Mi cadde a terra la mascella. Non le facevo neanche un po' di pena? No. Lei aveva già preso una decisione e non era disposta a cambiarla, non importava quante volte glielo avessi chiesto. Ma io non ero intenzionato ad arrendermi, sapevo di poterla convincere, non esisteva ragazza al mondo in grado di resistermi ripetutamente.
«Solo per questa volta» insistetti.
«No» ribatté lei secca.
«Ho un compito lunedì e non so nulla» rincalzai, facendo qualche passo verso di lei.
«Okay, chi te l'ha chiesto?».
«Se non recupero i voti sono fuori dalla squadra», mi avvicinai ancora.
«Non seguo il football».
«Se sono fuori dalla squadra sono fuori da ogni università» e ancora.
«Non so perché dovrebbe interessarmi il tuo futuro».
Ormai ero davanti a lei, la differenza d'altezza la costringeva a tenere la testa sollevata pur di non smettere di guardarmi e non essere la prima ad abbassare gli occhi, ma neanche io avevo intenzione di distogliere lo sguardo dal suo. Mi piaceva il modo in cui mi sfidava silenziosamente con gli occhi, mi piacevano i suoi occhi. In quei giorni lì avevo guardati così attentamente nel tentativo di convincerla ad aiutarmi che ormai si erano impressi nella mia mente. Erano grandi e tondi, con folte e lunghe ciglia nere che sembravano quasi addolcire il suo sguardo di pietra, color nocciola all'esterno, e verdi verso l'interno, vicino alle pupille, incontrandosi i due colori creavano strani percorsi nelle sue iridi, come la vecchia mappa di un pirata che se seguita attentamente avrebbe portato il fortunato dritto al tesoro. Era difficile non incantarsi a guardarla, cercando di trovare il giusto percorso.
Di solito sapevo cosa pensavano le ragazze quando le guardavo in quel modo, creare un momento di finta intensità è il modo più semplice per sfilare le loro mutandine. Ophelia non era poi così diversa dalle altre, solo più difficile da ammaliare, perché mentre io cercavo di incantare lei, lei incantava me -o forse mi malediva- senza neppure provarci, ma a pranzo avevo notato qualcosa, quando un leggero sussulto avevo lasciato le sue labbra rosee avevo capito di averla smossa.
«Tu devi darmi ripetizioni» provai con più decisione, i "per favore" e i "ti prego" non avevano funzionato.
Lei tenne gli occhi fissi nei miei, studiandomi attentamente, chiaramente non ero riuscito a creare nessun momento speciale questa volta.
«Io non devo fare nulla» rispose con freddezza, poi mi superò e se ne andò via, senza aggiungere altro, senza salutarmi. Mi sentii come se mi avesse dato uno schiaffo.
Rimasi lì ancora per qualche minuto per riprendermi da quell'ultima schiacciante batosta e poi anche io me ne andai.
Mentre tornavo a casa mi arrivò un messaggio.

Piper:
Ti servono ancora quelle ripetizioni?
XOXO

Sospirai, alla fine era la migliore opzione.

Piper parlava ormai da un'ora di atomi, legami, numeri di ossidazione, composti, idruri, idracidi, ossidi e altre cose apparentemente prive di senso, ma, come è chiaro, io non riuscivo a starle dietro. Parlava ormai da un'ora, ma sostanzialmente non diceva niente, così come faceva sempre, quando parlava dei nuovi gossip della scuola, faceva discorsi vuoti, composti da frasi vuote fatte di parole vuote perché era lei stessa ad essere vuota.
«Hai capito?» chiese voltandosi verso di me e scostandosi una ciocca di capelli dal viso, li aveva raccolti in una crocchia disordinata, per finta ovviamente, perché ogni ciuffo che era "accidentalmente" sfuggito dall'elastico ricadeva morbidamente intorno al suo viso, creando quasi una cornice intorno ad esso.
«No, Piper» risposi sbuffando.
«Se tu mi ascoltassi al posto di guardare dentro la mia maglietta»  commentò lei con un ghigno divertito. Ma non era così, forse le avevo dato una sbirciatina quando era arrivata con quella gonna quasi inesistente e una canottiera così scollata da rendere impossibile non notare quello che copriva a mala pena, ma poi mi ero concentrato e avevo seguito ogni sua parola sul libro e potevo dimostrarlo.
«Non capisco perché tu stai solo leggendo quello che c'è scritto sul libro e indovina? So leggere anch'io» osservai. Lei farfugliò qualcosa, mi sembrò di sentire "non ne ero sicura", ma sperai di essermi sbagliato e lasciai perdere.
«Quello che c'è scritto sul libro è quello che devi sapere, non posso mica inventarlo» si corresse poi, quando si accorse che la stavo fulminando con lo sguardo.
«Sì, ma non lo capisco» ribattei.
«Non è colpa mia se sei stupido».
«Stupido?» dissi indignato e offeso, mentre cercavo di mantenere un tono calmo, chiusi il libro con forza e la guardai con un ghigno di sfida sul volto, ma nonostante i miei sforzi di sembrare tranquillo dovevano uscire fiamme dai miei occhi in quel momento perché lei spinse la sedia su cui era seduta lontano da me. «Perché non mi fai vedere ora quanto sei intelligente?» la provocai. Il suo sguardo passò da me alla mia mano che teneva chiuso il libro e poi di nuovo a me, balbettò qualcosa, ma non l'ascoltai. «Tutte A, eh? L'unica cosa in cui sei brava è a succhiarlo».
Piper si avvicinò a me, sporgendosi in avanti, e con una voce sensuale disse: «Non solo quello».
Prima che potessi fermarla le sue mani erano su di me e -oh, Dio- non ci capivo più nulla.

Mi sedetti sul bordo del letto, incantato a fissare il vuoto. Quel pomeriggio mi ero ripromesso di studiare chimica, invece ero finito col fare sesso con Piper. Se non altro era stato illuminante, lei non poteva essere la mia tutor. Ma forse questo già lo sapevo. Presi il telefono dal comodino e inviai un messaggio a Cole.

Ho bisogno del numero di Ophelia.

Rimisi il telefono al suo posto e aspettai una risposta, continuando a torturarmi mentalmente per essermi lasciato convincere così facilmente da Piper. Sentii la sua mano passare sotto il mio braccio e salire sul mio petto, accarezzò la mia pelle, mentre con l'altra sistemava i miei capelli post sesso, poi le sue labbra sul mio collo che mi baciavano ancora e ancora.
«Come allievo sei pessimo, Hart, ma come maestro...», mi diede un altro bacio caldo, sensuale, alla base del collo. Il fatto che stesse cercando di riportarmi a letto era evidente, ma non avevo voglia di lei in quel momento, volevo stare da solo e pensare a un altro modo per convincere quella maledetta ragazza a darmi ciò di cui avevo bisogno, Piper non avrebbe mai potuto, questo era evidente, con lei perdevo tempo.
Il telefono vibrò e lo presi subito, ignorando le sue esili mani sul mio corpo.

Cole:
Leslie non me lo vuole dire.
Ho provato di tutto per convincerla.
E credimi quando dico di tutto ;P

Avevo la sensazione che cercare di convincerla fosse stato più divertente del previsto per lui.
«Chi è Ophelia?» mi chiese, aveva la testa appoggiata alla mia spalla e da lì sbirciava la mia chat con Cole, bloccai subito lo schermo infastidito. Non c'era scritto niente di compromettente, ma erano comunque cose che a lei non interessavano.
«Nessuno» risposi, appoggiando il telefono sul letto, con lo schermo rivolto verso il materasso in modo che non potesse leggere le eventuali notifiche in arrivo.
«E perché ti serve il numero di nessuno?» ridacchiò. Non so perché pensasse che io avessi voglia di parlare con lei della mia vita, ma di certo non era così. «Dovrei essere gelosa?» sussurrò, mordicchiando il lobo del mio orecchio.
«Noi due non stiamo insieme Piper, ricordi?».
«Io sono nuda, tu sei nudo, forse non stiamo insieme, ma sarebbe carino che tu non pensassi a fare sesso con un'altra quando io sono ancora qui» disse offesa. Mi passai una mano tra i capelli, quella ragazza era esasperante, un istante prima ti faceva sentire in paradiso e quello dopo ti trascinava all'inferno. Forse aveva ragione ad essere infastidita, ma non avevo intenzione di portarmi a letto Ophelia, volevo solo che lei mi aiutasse con la scuola. Era già abbastanza difficile quello, figuriamoci spogliarla.
«Non sono affari tuoi» commentai piatto, presi la sua mano dal mio petto e l'appoggiai sul letto. «Ora devo studiare, perché non te ne vai?».
Lei sussultò e si alzò velocemente dal letto, prese la sua roba dal pavimento e si rivestì velocemente.
«Sei un vero stronzo, Dom» si lamentò, mentre sistemava la canottiera dentro la gonna. Alzai gli occhi al cielo, tutte le volte doveva fare la stessa sceneggiata melodrammatica. «Dico sul serio, vaffanculo» aggiunse, mentre raggiungeva la porta. Prese dalla maniglia i miei boxer, che non avevo idea di come avessero fatto a rimanere appesi lì, e me li lanciò in faccia, prima di uscire sbattendo la porta.
Dovevo decisamente smettere di fare sesso con lei.

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