4. Cardio fitness
Ophelia
Di norma il sabato e la domenica per me non significavano nulla, non si andava a scuola, certo, ma io studiavo comunque, ripassavo, facevo i compiti, mettevo in ordine gli appunti e non cambiava molto dall'essere a scuola, ma quel weekend avevo capito perché due giorni di pausa fossero così importanti. Due giorni in cui Dominic Hart non aveva potuto perseguitarmi con i suoi goffi tentativi di convincermi ad aiutarlo, due giorni in cui la sua faccia era completamente sparita dalla mia mente, avevo dimenticato il suono della sua voce e il colore dei suoi occhi e avevo passato il mio tempo libero a leggere articoli sui progressi della scienza nel campo neurologico. Era stato liberatorio.
Ma era di nuovo lunedì e tornare a scuola significa dovermi sorbire ancora la sua presenza e quella di Cole, ovviamente, lui era onnipresente e se per caso non c'era, ci pensava Leslie a tenere ben vivida nella mia mente la sua presenza. Quindi ecco che capivo un'altra importante cosa sul genere umano: il lunedì si odia perché riporta tutte le cose che si avevano lasciato indietro durante il fine settimana. Non proprio il genere di scoperta da premio Nobel che speravo avrei fatto un giorno.
«Il weekend più bello di sempre» sospirò Leslie, appoggiandosi all'armadietto con un'aria sognante e la soddisfazione post giorno di sesso, stavo iniziando a riconoscere quell'espressione, il viso rilassato, un perenne sorriso e due immense occhiaie sotto gli occhi. «48 ore di acrobazie ginniche sul suo letto» mi disse, era così eccitata e felice da darmi quasi fastidio. Storsi il naso e cercai di levarmi dalla mente l'immagine di quei due avvinghiati nudi nelle posizioni più improbabile mai descritte nell'unico libro che ero certa non avrei mai letto, e poco mi importava se questo andasse a discapito della mia ambizione di avere un'approfondita cultura in ogni campo del sapere umano.
«Se non altro fa bene al corpo, ci sono degli studi al riguardo» commentai, mentre sistemavo i libri dentro l'armadietto, cercando di non sembrare completamente disinteressata alla sua vita sentimentale e sessuale.
«Eccome se ce ne sono, è attività fisica dopotutto». E come quando non riesci a ricordarti come faceva quella canzone che ti piaceva tanto, ma appena la senti di nuovo sai che è lei e ti torna alla mente tutto il testo, così appena la prima sillaba lasciò le sue labbra, riconobbi la voce che avevo creduto di essermi dimenticata e ricordai il colore dei suoi occhi. Alzai lo sguardo al cielo e sperai che in qualche modo fosse stata solo una brutta allucinazione, ma quando mi voltai lui era davvero lì, viso rilassato, perenne sorriso e due immense occhiaie sotto gli occhi, che sperava ancora di potermi far cambiare idea.
«Cardio fitness» risposi esasperata, sistemandomi gli occhiali sul naso, e lui doveva aver fatto un bel po' di esercizio quel fine settimana. «Cosa vuoi, Dominic?» chiesi poi.
«Lo sappiamo entrambi» disse, passandosi una mano tra i capelli corvini perfettamente in ordine. Le sue difficoltà di comprensione raggiungevano livelli davvero incredibili, non mi sarei mai aspettata che avesse così tanta difficoltà nel capire un semplice concetto.
«Vuoi un disegnino?» gli domandai, poggiando le mani sui fianchi con aria di sfida, lui sorrise divertito. Nella mia mente avevo già una chiara idea di come farglielo capire: avrei rappresentato uno stickman con la testa di forma fallica, lui, e un'altro stickman con gli occhiali e la gonna, io, che lo prendeva a librate sulla sua grossa testa di cazzo, magari così avrebbe capito come stavano le cose. Avrei voluto farlo anche nella vita reale.
«In realtà no. Questi due giorni sono stati illuminanti, cara Ophelia» rispose, chinandosi un po' verso di me e facendomi sentire più bassa di quanto non fossi. Dubitavo sinceramente delle sue parole, l'unica illuminazione che poteva aver raggiunto il suo sistema nervoso era quella del sole la mattina. «Ho capito che continuare ad assillarti è una perdita di tempo per entrambi, quindi questa sarà l'ultima volta e, qualunque sia la tua risposta, io ti lascerò in pace» spiegò, si tirò su ed incrociò le braccia al petto, sembrava fin troppo sicuro di sé, come se sapesse di aver sistemato tutte le pedine al posto giusto e stesse solo aspettando il suo turno per fare scaccomatto. Possibile che fosse più furbo di me? Quest'ipotesi era da scartare, quel ragazzo non era sveglio nemmeno la metà di un pesce rosso. Eppure c'era qualcosa nel suo sguardo, che mi metteva in allerta.
«E io dovrei fidarmi?» borbottai scettica e, imitandolo, incrociai le braccia sotto il seno e lo guardai con disprezzo.
Sollevò una mano, il mignolo era chiuso verso il palmo, il pollice era poggiato su di esso, mentre indice, medio e anulare erano ben tesi, e, nascondendo un sorriso, disse: «Parola di scout».
«Vuoi farmi credere che sei uno scout?» domandai scettica, non lo avrei fatto neanche se lo avesse giurato con una mano sulla Bibbia. Non era certamente il tipo di ragazzo che indossa pantaloncini corti e calzettoni, che aiuta le vecchiette ad attraversare la strada e che cantava lodi a Dio intorno ad un falò. E decisamente un bravo scout non prendeva meno di B nei compiti.
«Assolutamente no, gli scout sono per gli sfigati» commentò, quasi come se la mia domanda lo avesse offeso. Almeno su quello eravamo d'accordo. «Quindi?».
Lo guardai con sospetto, era fin troppo eccitato per essere uno che si stava arrendendo, ma la mia risposta non cambiava. «No» risposi secca. «Ora sparirai per sempre dalla mia vista, piccolo scout bugiardo?».
«Non per sempre. Ci vediamo in classe, piccola incorruttibile nerd». Mentre andava via scorsi l'ombra di un sorriso trionfante che addolciva i tratti del suo viso. L'odore della mia rovina era nell'aria, solo che ancora non lo sentivo.
Mi voltai verso Leslie per chiederle un parere, ma ovviamente non era in grado di parlare in quel momento, con la lingua di Cole infilata nella sua bocca. I due erano schiacciati contro l'armadietto, le mani di lui erano sul suo sedere, quelle di lei gli tiravano i capelli, mi sembrava decisamente fuori luogo baciarsi in quel modo a scuola, davanti a tutti per giunta, ma almeno per una volta ero felice di vedere Cole, di certo ne sapeva più di Leslie sui piani del suo amico. Gli diedi un pizzicotto sul braccio per cercare i attirare la sua attenzione, ma, dato che lui non sembrò neppure farci caso, dovetti tirarlo via dalla bocca di Leslie per il colletto della camicia. Lui si voltò a guardarmi con il viso paonazzo per l'assenza di ossigeno e le labbra gonfie di baci sulle quali si notava l'alone rosa lasciato dal lucida labbra della sua ragazza.
«Cos'ha in mente Dominic?» gli chiesi guardandolo torva. Lui si passò una mano tra i capelli castani, visibilmente indeciso tra parlare o tenere per sé quello che sapeva, perché era evidente che sapesse qualcosa. «Prima me lo dici, prima puoi tornare a baciare Leslie» lo incitai, lei ridacchiò nervosamente.
Cole sospirò. «Mi ha detto solo che entro la prima ora di oggi tu saresti stata la sua tutor» rispose, stringendosi nelle spalle. Quindi non ne sapeva molto più di me.
«Sei inutile» dissi, chiusi l'armadietto con forza e me ne andai. Sentivo di avere i nervi a fior di pelle, colpa di Dominic e del suo gioco, ma non sapevo se mi infastidisse di più il semplice fatto di perdere o di perdere contro di lui.
Entrando in classe, lo vidi parlare con Jensen, entrambi si voltarono verso di me.
«Buongiorno» mi salutò il professore, mentre un sorriso maligno si dipingeva sul viso di Dominic. Lo studiai attentamente, ma nulla traspariva dai suoi occhi di ghiaccio. Andai a sedermi al mio solito posto, primo banco fila centrale, poggiai la cartella a terra e sistemai il libro, il quaderno e l'astuccio sulla superficie di legno, rovinata e piena di scritte, bevvi un sorso d'acqua e ripassai velocemente gli appunti della scorsa lezione mentre gli altri studenti entravano in classe e si sistemavano ai loro posti. Jensen diede una pacca sulla spalla a Dominic e lui se ne andò tutto soddisfatto, si fermò al mio banco prima di raggiungere il suo, poggiò le mani su di esso e si sporse verso di me. Era gigante. Quando ero in piedi la differenza tra di noi era già abbastanza notevole, ad occhio mi superava di 30 centimetri, ma ora che ero seduta la sua altezza era quasi impressionante, mi faceva sentire minuscola e indifesa, il suo sguardo imperscrutabile, poi, era disarmante. Spinsi la sedia indietro, incrociai le braccia al petto e sostenni il suo sguardo.
«Credevo che avessi detto che mi avresti lasciata in pace» commentai seccata, lui ridacchiò.
«Lo so» rispose divertito. Aggrottai le sopracciglia confusa, mi sfuggiva qualcosa, ma era del tutto comprensibile, non si può mai sapere cosa succede nella mente dei folli.
«Parola di scout, ricordi?» cercai di aiutarlo a fare memoria, perché evidentemente si era dimenticato del suo piccolo giuramento, il fatto che fosse basato su un'esplicita bugia non lo rendeva meno valido ai miei occhi. Lui annuì.
«Infatti non sto dicendo nulla, ti sto solo guardando» disse.
«Be', non farlo». Rise di nuovo.
«Ti da fastidio che ti guardi?» chiese. Sì, mi dava fastidio il modo in cui mi inchiodava con il suo sguardo ipnotico, ma il punto era un altro.
«Mi dai fastidio tu» dissi, lui sorrise come se la mia fosse stata una battuta, ma non era così, e quando notò che non stavo scherzando, si fece di nuovo serio, per quanto gli era possibile.
Levò le mani dal mio banco e si sistemò la t-shirt blu, che ricadeva perfettamente sul suo petto, fece qualche passo in avanti e credetti che avesse finalmente deciso di andarsene, poi si fermò al mio fianco, si chinò leggermente e sussurrò: «Sei bella», poi se ne andò per davvero.
Strabuzzai gli occhi, più confusa che mai. E questo cos'era?
Mi trattenni dal voltarmi a guardarlo cercando di capire quale fosse il suo piano quella volta, ma sapevo che nulla trapelava dal suo viso, quindi a che scopo?
Il professore era voltato di spalle a preparare la lezione alla lavagna, per questo non si era accorto della nostra breve conversazione. Mi servì qualche istante per riprendermi da quelle sue parole, poi presi penna e quaderno e mi misi a scrivere come una matta per recuperare tutto il tempo che lui mi aveva fatto perdere, cercando di ricopiare gli appunti prima che Jensen li cancellasse.
«Bene, ragazzi, chi si ricorda di cosa abbiamo parlato l'ultima volta?» domandò, ma un attimo prima che potessi alzare la mano, qualcuno si fiondò in classe, distraendo tutti.
«Buongiorno, scusi il ritardo» disse Cole tutta d'un fiato, aveva i capelli spettinati, un succhiotto sul collo, lasciato ben in vista dalla maglietta con lo scollo a V, e un sorriso soddisfatto che andava da un'orecchio all'altro. Alzai gli occhi al cielo, Leslie stava impazzendo.
«Fuori Price» ordinò Jensen. «Ci vediamo in detenzione» gridò, mentre il ragazzo usciva dalla classe con molto meno entusiasmo rispetto a quando era entrato solo pochi secondi prima.
Suonò la campanella. Mentre tutti uscivano dalla classe, io rimasi lì per sistemare le cose nella cartella, al contrario dei miei compagni avevo preso appunti fino all'ultimo secondo. Poi mi alzai e feci per uscire, ma il professore mi fermò. «Ophelia, Dominic, potete avvicinarvi?» chiese, ovviamente esisteva una sola risposta a quella domanda.
Mi voltai verso Dominic, non avevo neppure notato che era ancora in classe. Quel maledetto sorriso compiaciuto mi diceva che centrava lui in quello che il professore voleva dirci e quindi ecco qual era il suo piano.
«La mia miglior studentessa e il mio peggiore studente» ridacchiò, cercando di allentare la tensione che si era creata. Poi si rivolse a me: «Sai già perché ti ho chiamata, vero?», annuii con un sospiro.
«Ho già detto a Dominic che non posso» dissi subito, per non fargli sprecare fiato.
«Lo so, me l'ha detto. Ma, vedi, questo ragazzo ha le mani d'oro e senza di lui sono perso. Lo so che è stupido, ma è un grande giocatore e io ho bisogno di lui. Te lo chiedo come favore personale» disse, aveva uno sguardo supplichevole e quasi disperato, ben lontano dall'espressione già vittoriosa e trionfante che Dominic non riusciva a togliersi.
E bravo ragazzo, aveva fatto scaccomatto.
Se avessi rifiutato, Jensen mi avrebbe visto come quella che aveva sabotato il suo prezioso campionato studentesco di football, forse non sarebbe cambiato molto, avrei avuto A comunque, ma avrebbe potuto rendermi le cose difficili. Se avessi accettato, Dominic Hart sarebbe entrato ufficialmente nella mia vita, questo sarebbe potuto diventare un incubo, ma dopotutto sarei stata in grado di sopportarlo, almeno così speravo, perché l'altra opzione non mi sembrava praticabile.
«Potrei pensare di accettare, per lei» dissi vaga, avvicinandomi alla cattedra. «Ma non sono certa che tutti ci guadagnino lo stesso tanto. Lei avrà il suo quarterback, Dominic il suo campionato e io una seccatura, le sembra equo?» chiesi con una voce volutamente melliflua, incrociando le braccia. Jensen mi guardò confuso e si passò una mano tra i capelli scuri tra i quali iniziavano a scorgersi i primi fili bianchi.
«Cosa vuoi?» mi chiese titubante.
«Voglio sapere le domande del torneo scolastico di trivia a squadre in anticipo» dissi decisa. «Abbiamo un accordo?». Jensen ci penso sù, stilando rapidamente una lista dei pro e dei contro, lanciò un'occhiata a Dominic, che lo guardava con le mani giunte, pieno di speranze, e poi il suo sguardo si rivolse nuovamente a me, che lo guardavo con sicura decisione. Se proprio dovevo aiutare quel mezzo cervello a studiare, allora volevo essere certa di trarne i giusti vantaggi e vincere il trivia studentesco era una ricompensa più che valida.
«Sì, abbiamo un accordo» disse infine, titubante.
«Ottimo, professore» dissi, gli strinsi la mano con entusiasmo e me ne andai seguita da Dominic che per poco non gridava per la gioia. Appena fuori mi voltai per incenerirlo con lo sguardo.
«Non esserne felice, renderò la tua vita un vero inferno» lo minacciai. Aveva promesso che non me lo avrebbe più chiesto, non che non lo avrebbe fatto fare a qualcun altro e il professor Jensen era l'alleato perfetto, avrebbe fatto di tutto per il suo studente preferito, il quarterback che vinceva le partite e i campionati. Io ero solo la studentessa da A, lui quello dei miracoli, era impossibile competere.
«Sono pronto a tutto» disse, tutta quella sicurezza lo faceva sembrare quasi tenero, ancora non lo sapeva ma io avrei fatto in modo che si pentisse di avermi costretta ad accettare. Mi voltai e feci per andarmene, ma lui mi richiamò. «Pensavo che tu non avessi bisogno di barare» disse con un ghigno divertito e uno sguardo strafottente.
«Non è barare, è avvantaggiarsi» lo corressi. «È un problema?».
«No» disse e con un passo ampio mi raggiunse, portandosi a pochissimi centimetri da me. «Tutt'altro, mi piace» sussurrò. I suoi occhi tenevano il mio sguardo incatenato al suo, ancora non capivo come ci riuscisse, come riuscisse a far sparire tutto il resto.
«Hai avuto quello che volevi, Dominic, ora evapora e cerca di non respirare la mia stessa aria finché non avrai bisogno di me» sbottai seccata, non potevo sopportare di vederlo un solo secondo di più.
«Ecco il punto Ophelia: Ho bisogno di te ora».
Autrice: hope you like it, honeys 🍯
Allora: sono decisa a portare avanti questa storia fino all'ultimo capitolo -incrociamo le dita🤞🏻-.
Voi che ne pensate, vi sta piacendo?
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