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6. Barra della compatibilità

Dominic

Greendale era una piccola cittadina, circondata dal verde di un piccolo bosco e lì, nascosto tra le fronde degli alberi, c'era un laghetto dalle acque cristalline dove andavamo a fare il bagno in estate o da ubriachi a capodanno, il posto perfetto per conquistare una ragazza. C'era un pub, solo uno, e noi ragazzi correvamo il rischio di essere beccati dai nostri genitori pur di berci qualcosa. Dovevamo prendere la macchina e guidare per mezz'ora per raggiungere il Flux, la discoteca più vicina, e questo comportava non potersi ubriacare o si sarebbe dovuti rimanere a dormire in  uno scadente motel vicino alla strada. Noi avevamo la nostra strategia, si girava la bottiglia e chi usciva doveva restare sobrio per riaccompagnare gli altri, a volte funzionava, a volte no. C'era anche il cinema drive in, il secondo miglior posto per convincere una ragazza ad aprire le gambe, ma in compenso non avevamo né Starbucks né McDonald, orgogli americani.
A riempire questo vuoto, però, c'era il nostro diner, Poppy's, il posto più conosciuto e frequentato, il cuore pulsante della città, il luogo di ritrovo di noi ragazzi di Greendale.
Io e Cole andavamo lì sin da quando ne avevo memoria, probabilmente da prima di imparare a camminare, all'inizio eravamo solo noi, poi, non so quando né come, un sacco di persone volevano stare con noi e il nostro duo si era decisamente allargato. Quel giorno, però, saremmo stati solo io, lui e Leslie; speravo solo di non essere di troppo.

Cercai una maglietta pulita e misi delle vecchie vans, passai una mano tra i capelli spettinati e scesi le scale, diedi un bacio a mia madre e chiesi a mio padre le chiavi della sua macchina. Misi in moto e partii. Ci volevano dieci minuti per arrivarci, si trovava sulla strada all'uscita della città, Cole e la sua ragazza erano già lì, mi aveva mandato un messaggio.
Poppy's era già pieno, nell'immenso parcheggio, dove i posti si stavano esaurendo, si erano fermati a mangiare quelli che non avevano trovato spazio dentro, seduti sui cofani delle loro macchine, con la musica della radio e le birre rubate di nascosto dal frigo di casa. L'edificio era grande e tinto di bianco, grandi vetrate percorrevano tutto il suo perimetro e la musica risuonava fin fuori. Sopra la porta d'ingresso trionfava la scritta rosa dei gloriosi anni 50' e sulla cima dell'edificio l'insegna luminosa e sfolgorante: Benvenuti da Poppy's, neanche si stesse arrivando a Las Vegas. Quando aprii la porta, il tintinnio di una campanella situata su di essa mi accolse e attirò su di me l'attenzione della proprietaria, che passava proprio lì davanti con un vassoio in mano, mi salutò cordialmente, ormai mi aveva visto così spesso che ci davamo del tu. No, non era Poppy.
La dolce e geniale signora Poppy Wright era ricordata da ogni adulto come la vecchietta più allegra della città, era stata la mamma e la nonna di tutti quelli che avevano avuto il piacere di conoscerla, poi era morta, prima che io nascessi, lasciando, purtroppo, l'attività in eredità alla figlia Jolene, ma la sua foto era ancora appesa dietro la cassa.
Dagli anni 50' le cose erano decisamente cambiate, ricordavo che prima i tavoli erano in legno di mogano e le poltrone rosse, ma negli anni delle medie il diner aveva subito un restyling decisamente pink, voluto dalla figlia di Jolene, Piper, motivo per il quale consideravo la signora Wright la rovina di Poppy's. Ora i tavoli erano bianchi, le pareti rosa shocking, così come il bancone, le poltrone e gli sgabelli erano stati cambiati con alcuni in pelle verde acqua che secondo me faceva a pugni con tutto il resto. In memoria del buon vecchio diner, così retrò e di buon gusto, era stato lasciato intatto il pavimento a scacchi bianco e nero e in fondo al locale c'erano ancora il jukebox originale di quegli anni, un flipper malandato e la storica parete delle foto di tutti coloro che riuscirono a battere il record del loro predecessore al gioco del pugno che si trovava all'esterno. L'ultima foto era la mia, avevo il viso arrossato dall'alcol e un sorriso ebete, mentre Piper mi dava un bacio sulla guancia, quella fu la prima volta che io e lei facemmo sesso, era l'anno scorso, indubbiamente una delle mie migliori notti.
Vidi Cole salutarmi, agitando ampiamente il braccio, lo raggiunsi e mi sedetti dall'altra parte del tavolo, accanto a lui Leslie era seduta con la testa poggiata sulla sua spalla, ma si tirò subito su quando mi vide, salutandomi con un gran sorriso, piano piano si stava sciogliendo, mostrando anche a me un po' di quella sua dolcezza che aveva conquistato il mio amico.

Chiacchierammo del più e del meno, senza seguire un filo logico, anche Leslie, seppur timidamente, partecipò alla conversazione. A volte, quando lei parlava, Cole si voltava verso di lei con un sorriso e le dava un bacio sulla tempia scoperta per via dei capelli raccolti da un lato, allora lei lo guardava con occhi sognanti e in quei momenti mi ricordavo che quello era il loro appuntamento e che io ero di troppo, la conversazione ripartiva e a poco a poco quella sensazione sfumava. Poi spuntò fuori l'argomento Ophelia, fu Leslie a introdurlo, chiedendo come avessi fatto a convincerla. Sorrisi.
«Diciamo che avevo il giusto appoggio» risposi, rimanendo vago, pensavo che lei glielo avesse già detto, ma dato che non lo aveva fatto volevo che continuasse a rimanere un enigma. Cole, però, non aveva la mia stessa idea e le spiegò subito che avevo supplicato Jensen di chiederglielo per me, sapendo che non avrebbe mai detto di no ad un professore. Lei sgranò gli occhi e arricciò il naso.
«Ti odierà per questo» commentò con voce preoccupata. Mi strinsi nelle spalle con disinteresse, dovevo solo entrare in squadra, non starle simpatico, anzi: quello che volevo da lei era un rapporto puramente professionale, se fossimo diventati amici avrei corso il rischio di distrarmi troppo e non potevo davvero rischiare. Inoltre ero abbastanza certo che già non mi odiasse, quindi perché non provare?
«Non dobbiamo piacerci per forza» dissi poi, notando che ancora mi squadrava dubbiosa.
Lei allora rise e rispose: «Non hai capito, ti farà passare le pene dell'inferno» disse, ovviamente esagerava.
«Ne dubito» dissi, lasciandomi andare sullo schienale della poltrona, lei assottigliò lo sguardo e si sporse in avanti sul tavolo.
«Non la conosci, Ophelia sa essere stronza ed è la persona più cinica che conosco, non avrà pietà per te» mi spiegò. Che la sua amica non fosse facile da gestire era stato chiaro sin dal primo momento in cui l'avevo vista. Mi aveva guardato come se non fossi degno nemmeno di essere il pavimento sotto i suoi stivaletti, e non era solo il suo sguardo carico di disprezzo a farmi capire che non mi sopportava, anche la sua voce seccata ed esasperata quando parlava con me, come se anche solo vedermi le desse fastidio, e quando incrociava le braccia sotto il seno, quando mi squadrava assottigliando lo sguardo o quando si mordeva la lingua per non insultarmi. Sapevo che mi avrebbe reso la vita difficile, ma sapevo anche un'altra cosa.
«Conosco le ragazze come lei, è più scena che altro», lei rise ancora.
«Non esistono ragazze come lei» disse, ma lei era la sua migliore amica era ovvio che la pensasse così. Glielo avrei detto senza problemi, se non fosse che volevo saperne di più su di lei e non solo ciò che era già evidente. Leslie avrebbe di certo saputo dirmi l'unica cosa che mi interessava realmente e che ancora non sapevo sul suo conto.
«Tu e lei siete amiche da tanto, giusto? La conosci bene» iniziai, sporgendomi in avanti sul tavolo mosso dalla curiosità di dare una risposta alla domanda che mi assillava da quella mattina. Lei fece una smorfia e sospirò.
«La conosco da tanto, sì, ma non sono sicura di essere sua amica e di certo non la conosco bene. Nessuno la conosce bene» mi spiegò, dispiaciuta e rassegnata. «Cosa vuoi sapere?» chiese poi, non ero più così sicuro che lei avrebbe saputo aiutarmi, ma potevo comunque provare, con il suo aiuto e quello di Piper sarei riuscito a scoprire qualcosa su Edward perfezione Cahalan, o almeno speravo. Così le chiesi se lo conoscesse e cosa sapesse sul suo conto. «Ned?» ripeté sorpresa, anche Cole era stupito, probabilmente non capiva perché fossi così interessato a quel tipo ed io non ero in grado di spiegarglielo. Quando mi era passato davanti, mentre entrava in classe, avevo colto nel suo sguardo sprezzo e sfida, anche Ophelia mi guardava così, ma quando lo faceva una ragazza alta un metro e tanta voglia di crescere, con dei giganteschi occhiali tondi e un viso dolce con il naso all'insù era difficile prenderla sul serio e preoccuparsene. Lei, poi, aveva almeno dei motivi per guardarmi in quel modo, lui invece? Io non lo conoscevo, non sapevo assolutamente nulla sul suo conto, mentre io ero Dominic Hart ed era impossibile che lui non sapesse chi fossi, che non avesse sentito voci, pettegolezzi e critiche sul mio conto, ma avevo avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di più personale e non volevo giocare quella partita in svantaggio. «Non so molto su di lui, è molto intelligente, ma decisamente poco socievole» disse, guardandomi incuriosita.
«E che mi dici di lui ed Ophelia?» provai ad insistere, lei mi guardò divertita.
«Lo dici come se avessero una relazione» ridacchiò ed effettivamente ci avevo pensato, per quanto quella teoria non mi convincesse affatto. Quando vide che ero serissimo si sforzò di esserlo anche lei, ma non riuscii a nascondere completamente quel sorriso che le curvava le labbra mostrando le sue fossette. «Oh, Cielo, no. Sono solo conoscenti, nessuno dei due è tipo da sentimenti» chiarì, agitando le mani davanti al viso per sottolineare quanto quell'eventualità fosse impossibile. A sostegno del fatto che tra i due non ci fosse assolutamente nulla, c'era la loro incompatibilità. Non conoscevo bene né l'uno né l'altra, ma per quanto ne sapevo erano uguali, entrambi testardi e presuntuosi, era difficile che due persone con quel carattere potessero andare d'accordo o, addirittura, amarsi, era molto più plausibile che si uccidessero a vicenda. Eppure ero certo che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che forse sapevano solo loro due.
«Come non detto» sospirai, scivolando nuovamente sulla poltrona verde acqua, Leslie continuò a studiarmi per qualche istante, con il mento poggiato sulla mano e un'aria pensierosa.
«Non è che ci vuoi provare con lei, vero?» chiese poi, facendomi saltare in aria.
«Ma che, scherzi?» risposi subito, sarebbe significato rovinare ogni piccola possibilità che avevo di giocare il campionato di football. Lei sarebbe stata distratta, io sarei stato eccitato per metà del tempo, le nostre maratone di studio si sarebbero trasformate in maratone di sesso e io avrei detto addio alle mie possibili B. Non scherzava. Il suo viso sorridente era diventato serio, mentre mi scrutava attentamente per capire cosa avessi in mente. «Volevi sapere se lei fosse single e poi, siamo onesti, hai una certa fama» disse, giustificando il suo sospetto. «Ma nel caso ti avviso: Ophelia ti renderebbe le cose difficili e tu ti innamoreresti di lei prima ancora di accorgertene».
Dubitavo che una ragazza come lei potesse farmi perdere la testa, eravamo troppo diversi per riuscire ad apprezzarci come amici, pensare di amarla era pura follia, ma qualcosa nel tono di Leslie mi diceva di tenere gli occhi aperti e non abbassare mai la guardia, o forse la realtà sarebbe diventata folle.
«Non credo nell'amore» ribattei, per farle capire quanto le sue ipotesi fossero lontana anni luce. Non era del tutto vero però, credevo nell'amore, solo che non pensavo che fosse una cosa che mi riguardasse. Non pensavo di potermi innamorare, perché mai nessuna ragazza era riuscita a farmi battere il cuore nel modo in cui l'amore dovrebbe fare e dopo 17 anni di vita, durante i quali avevo conosciuto un sacco di ragazze davvero fantastiche e non solo belle, questo, ai miei occhi, non poteva significare altro se non che io fossi incapace di amare totalmente una persona. Per quanto riguardava gli altri, invece, ero abbastanza fiducioso del fatto che la loro anima gemella fosse lì da qualche parte e che in un modo o nell'altro l'avrebbero incontrata.
«Bene, neanche lei ci crede. La barra della compatibilità sale» ironizzò Leslie.
Jolene arrivò con le nostre ordinazioni e l'argomento cadde lì.

Autrice: eccomi qua!
Spero che il capitolo vi piaccia e che non ci siano errori, non avevo molta voglia di rileggerlo.
Allora, che ne pensate di Ned?
E un'altra cosa: siamo a settembre, ladies, pronte all'inizio della scuola? 🙈🌈

Baci,
-LaBugiarda🌸

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