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Prologo

Dominic

Era l'ultima ora di lezione, poi finalmente ci sarebbero stati gli allenamenti. Gettai un'altra occhiata, l'ennesima, all'orologio appeso al muro dietro la cattedra, segnava ancora le 13:26, ma mi sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che avevo guardato. Tutti i miei compagni avevano già messo astucci e quaderni dentro gli zaini e anche io mi ero già mandato avanti, l'unica che continuava con volontà ferrea a prendere appunti sulla lezione del professor Jensen era una ragazza al primo banco, che scriveva sul suo quadernino ad una velocità esagerata.

13:27, finalmente l'orologio sembrò dare nuovamente segni di vita.
Il professore, nonché il mio coach, chiuse il libro e con aria solenne annunciò che per quel giorno era tutto, parole sante. L'intera classe tirò un sospiro di sollievo e anche la ragazza del primo banco mi parve più serena all'idea di potersi riposare.
Tutti ci alzammo dai nostri banchi per andare a parlare con qualcuno in attesa del suono della campanella, che ci avrebbe definitivamente liberato da quella prigionia legalizzata. Io dovetti solo girarmi verso il banco dietro il mio, dove Cole mi guardava con una faccia esausta. Per tutta la lezione non aveva fatto altro che tirarmi palline di carta nei capelli e punzecchiarmi la schiena con una penna per spingermi a girarmi continuamente per vedere cosa fosse stato, si divertiva con poco; per sua sfortuna, però, quel trucchetto aveva funzionato solo poche volte prima che gli tirassi in pieno volto un'intera pagina di appunti accartocciata. "Hart!", aveva gridato il coach con aria seccata, mentre tutta la classe scoppiava a ridere vedendo Cole strabuzzare gli occhi stupito e infastidito, io mi ero scusato, ma non ero per nulla dispiaciuto e d'altronde sapevo che anche il prof l'aveva trovato divertente.

Quando il trillo della campanella si fece finalmente sentire, mi alzai e cercai di arrivare all'uscita prima che vi si ammucchiassero tutti gli altri, ma non feci in tempo, era lo svantaggio degli ultimi banchi, e come sempre finii col dover aspettare che, uno ad uno, uscissero.
Stavo finalmente per arrivare alla meta quando, proprio mentre stavo per seguire Cole fuori dalla porta, il professore mi chiamò. «Puoi fermarti un attimo, Dominic?» chiese, sistemando i suoi libri nella cartella, annuii e tornai indietro verso la cattedra trattenendo una smorfia.
«C'è qualche problema, coach?» domandai con preoccupazione, ticchettando con le dita sulla cattedra, un po' per l'ansia e un po' per la fretta di unirmi al mio gruppo prima degli allenamenti, mi stava rubando tempo prezioso. Lui non rispose subito, mentre continuava a sbarazzare, incurante dei miei possibili impegni, e più lui faceva silenzio più io vagliavo con la mente ogni possibilità, mettendomi paranoie che forse neppure avevano senso, magari alla fine voleva solo parlare di quell' "incidente" con la pallina di carta. Ma no, non poteva trattarsi di quello, dopotutto ero il suo alunno preferito, non mi avrebbe mai fermato per un cazzata simile.
Quindi di cosa si trattava?
L'anno era iniziato solo da due mesi ed era piuttosto insolito che nessuno avesse ancora voluto parlare con i miei genitori, ma già sapevo che quel momento sarebbe dovuto arrivare prima o poi, questo doveva essere il poi.
«In effetti sì» disse infine, sospirai e iniziai a farmi ancora più domande, sperando che Jensen si decidesse a rispondere il prima possibile. «Fosse per me lascerei perdere, ma il preside ha dato precise indicazioni». Il preside? Non avevo fatto nulla di tanto male da attirare su di me la sua attenzione, almeno nulla che mi venisse in mente. A meno che non fossi stato scoperto qualche giorno prima con Zoey nei bagni della scuola da qualche bidella impicciona, o con la professoressa Thompson nel laboratorio di scienze, o forse con Lily nello sgabuzzino dei bidelli, in quel caso non ero stato molto prudente. Ma se qualcuno se ne fosse accorto, lo avrei saputo subito, no? Per certe cose i provvedimenti erano sempre immediati. I miei genitori mi avrebbero ucciso per una cosa simile, sperai che non si trattasse davvero di questo ed incrociai le dita dietro la schiena. «Non è niente di grave, penso che tu te la possa cavare con un po' di impegno». Oh, finalmente qualcosa di buono, allora Lily non centrava, per fortuna, sarebbe stato davvero brutto convocare i miei genitori per una ragazza che, tra parentesi, non era neppure brava come sosteneva di essere.
Jensen continuava a girare intorno all'argomento, ma ormai io ero tranquillo, finché la riuscita in qualsiasi cosa lui stesse per dire fosse dipesa da me, all'ora ce l'avrei fatta, io me la cavavo sempre.
«Vuole che si dia più importanza allo studio e mi ha chiesto, proprio stamattina, di non far entrare in squadra chi non ha minimo B in almeno metà dei corsi, mi sono informato e tu sei parecchio sotto», mi guardò con dispiacere, si vedeva che era rammaricato, sapeva perfettamente che ero il migliore della squadra e che avrebbero perso il campionato scolastico senza di me.
B in almeno metà dei corsi. Una follia, ero fortunato se almeno in tre avevo C, in pratica ero già fuori dalla squadra.
«Ma è assurdo» sbottai dopo un attimo di sconcerto, ancora non riuscivo a realizzare le sue parole. Il coach annuì e spinse verso di me un foglio che aveva lasciato fuori.
«Questo è il test della settimana scorsa, hai preso F» disse porgendomi il foglio. Ogni mia risposta era stata bannata con la penna rossa, fatta eccezione per due, per le quali, evidentemente, la conta aveva funzionato, forse avrei potuto ammettere che per quel compito non avevo proprio aperto libro, la sera prima c'era una festa a casa di Jenna, ma questo non avrebbe cambiato nulla e sapevo che anche se avessi studiato le cose non sarebbero andate diversamente.
«Le selezioni sono oggi, coach, io devo essere in squadra! Non posso mica recuperare tutte le materie in un giorno» gli feci notare, sospirò e mi guardò con serietà.
«Lo so e infatti ti farò entrare, ma se non recuperi entro un mese dovrai dire addio al campionato».
Lo guardai basito ancora per qualche istante, sarebbe stato più facile andare sulla luna.
«Okay, grazie» sbuffai, uscendo dall'aula visibilmente seccato.

Andai a mensa e tagliai la coda per raggiungere Cole. «Scusa» dissi al ragazzo a cui presi il vassoio inserendomi prima di lui nella fila, lui si lamentò, ma poi capì che non me ne fregava assolutamente nulla di cosa avesse da dire e tornò in fondo per prendere un altro vassoio.
«Devi smetterla di fare il bullo» disse qualcuno alle mie spalle, mi voltai e vidi che la ragazza che aveva parlato sorrideva divertita, dandomi l'idea di non credere seriamente alle sue stesse parole.
«Piper» dissi, sorpreso di vederla lì a fare la fila.
«L'unica e sola, bello» specificò lei raggiante. I capelli biondi le incorniciavano il viso dolce e gentile da brava ragazza, che andava benissimo per fregare i suoi e che era ancora meglio quando ci facevi l'amore e i gemiti lasciavano le sue perfette labbra a cuore naturalmente rosee. Di norma mi avrebbe fatto piacere parlare con lei e garantirmi un pomeriggio di buon sesso, ma la conversazione appena avuta con Jensen, mi aveva reso davvero irritabile e non avevo voglia di sopportare le sue chiacchiere civettuole, dovevo parlare con Cole.
«Perché non fai una bella ruota fino alla cuoca?» la invitai gentilmente con un sorriso finto sul viso.
«Ti piacerebbe, caro, ma ho la gonna» mi fece notare, come se non lo avessi già fatto da solo, guardando le sue lunghe gambe praticamente nude. Teoricamente era contro il regolamento della scuola, ma tutti -bidelli, professori e preside inclusi- amavano vederla camminare nei corridoi nei suoi vestitini ridotti.
«È proprio per questo che dovresti» osservai a mia volta. Lei mi fece il ghigno e poi mi superò con una spallata, uscendo dalla fila e andando avanti. Tutti gli esemplari di sesso maschile si sporsero per guardarle il culo. Piper sexy Wright adocchiò un ragazzo più avanti di me nella coda, si abbassò la canottiera in modo da scoprire ulteriormente il suo prosperoso davanzale e probabilmente -da lì non potevo sentirla- gli chiese se potesse passare prima. Il ragazzo guardò il suo viso angelico per qualche secondo, forse onorato che una cheerleader gli avesse rivolto la parola senza insultarlo, e poi abbassò lo sguardo sulla sua scollatura, lasciandosi facilmente convincere.

«Wow, hai il ciclo?» mi chiese Cole voltandosi con un faccia sorpresa. «No? Perché quello era l'unico motivo ragionevole per mandare via Piper. Quella voleva scopare amico» mi fece notare, come se non lo sapessi già perfettamente.
«Vuole sempre scopare, domani se ne sarà già dimenticata» risposi con indifferenza. «Dovevo parlarti».
Lui si mise subito sull'attenti, era il suo turno, e mi ignorò completamente mentre diceva alla cuoca, cosa voleva. Alzai gli occhi al cielo. Poi toccò a me. Gwyneth buttò nel mio vassoio qualche polpetta, il pane e dell'insalata poi prese  un altro mestolo e dopo averlo infilato in una pentola lo sollevò pieno di qualcosa di giallognolo e indefinito. «No, quello no» dissi schifato, ma ormai era tardi, quella poltiglia era già nel mio vassoio. Inorridii.
«Togliti quella faccia dal viso, o la prossima volta nelle polpette ci sarai tu» mi minacciò, agitando il mestolo.
«Meglio morto e cotto che avvelenato dal tuo purè, Gwyneth» borbottai. Gwyneth ed io eravamo ormai in confidenza, dopo quattro anni di critiche schiette sulla sua pessima cucina lei si era abituata a me e alle mie recensioni costruttive, alle quali rispondeva sempre in modo molto amichevole, facendomi scherzose minacce. O almeno speravo che scherzasse. Era una donna robusta e decisamente corpulenta, con le guance paffute e le dita un po' cicciotte, se avesse voluto, forse avrebbe davvero potuto uccidermi, a giudicare dalla qualità delle polpette non mi avrebbe stupito sapere che fossero fatte di carne umana e io speravo in una morte più dignitosa per me. Poi mi invitò, sempre molto gentilmente, ad andarmene e a lasciarla lavorare, non rifiutai il suo cortese invito, neanche io morivo dalla voglia di passare con lei la mia pausa pranzo. «A domani» la salutai, prendendo in mano il mio vassoio, ora carico di schifo, e andando a sedermi al mio solito tavolo.

Cole e il resto della squadra erano già lì, feci alzare uno degli altri per sedermi accanto al mio amico, Evans si alzò non senza lamentarsi, ma fu subito accolto da una cheerleader che si offrì di cedergli il suo posto solo se lui l'avesse lasciata sedere sulle sue gambe, offerta imperdibile. E mentre quei due iniziavano a flirtare -presto avrebbero lasciato il tavolo con una scusa casuale per poterci dar dentro in qualche bagno -, io potei finalmente parlare con Cole.
«Allora, che ti ha detto il coach?» mi chiese subito, intinse una polpetta nel suo purè e poi la portò alla bocca, gustandola tranquillamente, sembrava piacergli davvero quella merda.
«Se non recupero i voti, non posso entrare in squadra. A quanto pare non basta più essere bravi atleti» borbottai, giocherellando con il cibo e facendo rotolare le polpette da un bordo all'altro del vassoio.
«Cazzo, bella merda» commentò lui con la bocca ancora piena, qualche ragazza dall'altra parte del tavolo rise.
«Già».
«Dove sono finiti i vecchi e sacri valori americani?» domandò retoricamente Cole, si portò una mano al cuore e alzò lo sguardo verso l'alto. I nostri compagni annuirono con grugniti e segni d'assenso.
Spostai il purè verso il bordo del vassoio per poter mangiare il resto del cibo non contaminato, ma quella schifosa poltiglia continuava a tornare al suo posto come se fosse viva.
«Comunque il punto non è questo» dissi, esaminando una polpetta. Non avevo molta fame in quel momento, le parole del coach mi avevano chiuso lo stomaco. «Mi serve un tutor, qualcuno che mi dia ripetizioni. Ho pensato che forse potrei studiare con te e Leslie» dissi, riportando la conversazione a toni civili, non volevo rendere pubblico il mio fallimento.
«Non esiste» rispose subito lui, mandando giù altro cibo, non capivo proprio come facesse a mangiarlo con tanta nonchalance. Poi si avvicinò al mio orecchio e portò una mano al lato della bocca per poi sussurrare: «È da un bel po' che io e lei non studiamo, ho ricambiato le sue preziose lezioni, insegnandole altri sapienti modi di usare la bocca», un ghigno divertito era comparso sul suo volto quando si era allontanato, lo guardai sorpreso e fiero.
«Batti qua» esultai sollevando la mano in alto, lui batté il cinque. «Quando pensavi di dirmelo?», Cole si strinse nelle spalle e mangiò un'altra polpetta. «Conoscerà altre nerd, una vale l'altra» aggiunsi poi, tornando al punto.
«Proverò a chiedere. Quelle non le mangi?», fece un cenno verso il mio vassoio, che spinsi verso di lui tenendo per me solo il pane. «È per questo che ti voglio bene» disse felice. Finì anche il mio pranzo e si alzò.
Evans e la cheerleader se ne erano già andati, il resto della squadra stava commentando i culi, discussione affascinante alla quale avrei potuto dare un prezioso contributo con le mie qualificate opinioni da esperto in materia, se solo non fossi stato così distratto dalla brutta piega che aveva preso quella giornata.
Piper si sedette accanto a me, ma non ci badai molto. Ero accasciato sul tavolo della mensa, con la testa abbandonata sulle braccia conserte, e le sue tette potevano migliorare solo di poco la situazione, ma comunque aiutavano.
«Ho un'ottima media, A in tutte le materie» disse con fierezza. «Potrei salvarti il culo». Mi tirai su con le orecchie drizzate per l'attenzione, per la prima volta nella mia vita ero realmente interessato alle sue parole. «Già, ma prima mi hai offesa e ora non so se voglio aiutarti» disse, si sporse in avanti e giocherello con i suoi capelli, attorcigliando le ciocche bionde tra le dita. Piper era la ragazza più bella della scuola, con il suo fisico da modella, i grandi occhi azzurri, i lunghi capelli biondi e le labbra carnose e sensuali si era guadagnata un posto nei sogni di tutti gli studenti della Greendale High School. Il fatto che ora ci stesse provando con me mi rendeva il ragazzo più fortunato della scuola.
«Potrei farmi perdonare» le sussurrai con un ghigno malizioso sul viso, mentre poggiavo la mia mano sulla sua coscia, vicino all'orlo della gonna, sorrise.
Neanche cinque minuti dopo stavamo facendo sesso nei bagni degli spogliatoi.

«Wow» mormorò, appoggiandosi al muro con un sospiro, annuii. «Sei bravo, molto», annuii. «Dobbiamo farlo più spesso», annuii ancora. Poi mi rivestii.
«Tu aspetta altri 5 minuti» le dissi prima di uscire dal bagno. Era stato un bel modo di sfogare lo stress, ma non avevo voglia di fare una piacevole conversazione sui miei innumerevoli talenti con lei.

Salii al piano superiore e cercai il mio armadietto, dall'altra parte del corridoio Cole stava chiacchierando con Leslie, non riuscivo a credere che quei due facessero sesso insieme, non credevo che lei fosse il tipo che si scopa quello a cui da ripetizioni. Se Piper mi avesse fatto da tutor, pensai, tutti i pomeriggi sarebbero stati come pochi minuti prima in bagno, divertenti ed eccitanti, non avremmo studiato molto.
Quando Cole mi vide salutò la ragazza, le diede un bacio sulla guancia mentre lasciava che la sua mano scivolasse un po' più giù del dovuto, oltre la linea che divide la semplice amicizia dal sesso, tradendo la reale natura del loro rapporto, e quando lui se ne andò, lo sguardo di lei restò incollato alla sua schiena. Leslie sussurrò qualcosa all'orecchio di una sua amica, una ragazza un po' bassa e con gli occhiali, dall'aria familiare.
«Che ti ha detto?» chiesi curioso prima ancora che mi avesse raggiunto.
«Che non vede l'ora che i suoi partano, così avrà casa libera tutti i giorni» rispose lui, con il sorriso eccitato di chi si pregusta una settimana di sesso sfrenato con la sua tutor.
«Dico per le mie ripetizioni, conosce qualcuno?», ero felice per lui, ma ora avevo altro a cui pensare che non fosse la sua vita sessuale. Lui sospirò.
«Giusto. Ophelia non vuole avere nulla a che fare con atleti che hanno preso troppe botte in testa per saper fare anche solo 2+2, parole sue» disse, sollevando le mani in alto in segno di difesa. Ophelia doveva essere la ragazza che ora guardava prima Leslie e poi Cole con una faccia sconvolta. Già, condividevo a pieno il suo scetticismo.
«Cosa? E lei che ne sa?», lui si strinse nelle spalle.
«Comunque Leslie mi ha promesso che proverà a convincerla», lo disse come se quella fosse la mia unica possibilità, a quanto pare non mi restava che incrociare le dita. «Ti ho visto lasciare la mensa con Piper, te la sei fatta? E bravo il mio ragazzo» disse, battendomi il cinque. Mentre io e lui ci allontanavano dai nostri armadietti, lanciai un'occhiata a Ophelia, che a contrario di tutte le altre ragazze del corridoio, non sembrava avermi notato nemmeno per sbaglio. Dubitavo che Leslie sarebbe riuscita a convincerla, avrei dovuto parlarci io stesso.

Autrice: non so quando e se continuerò questa storia, per ora voglio solo i vostri pareri e opinioni su questo "capitolo pilota", poi deciderò.
Quindi fatemi sapere che ne pensate, non risparmiatevi critiche e pareri costruttivi. Voglio solo la verità.

Stay tuned, babes 🌸

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